SE LA REGIONE PRENDE LE DISTANZE DALLA COSTITUZIONE. GERONIMO CARDIA (GIOCONEWS – FEBBRAIO 2023)

Sul distanziometro di Trento, le ordinanze del Consiglio di Stato confermano le sospensive dei provvedimenti di chiusura delle sale almeno fino all’esito del giudizio di primo grado e puntano il dito sul criterio del raggio utilizzato dai Comuni.

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Sul distanziometro di Trento, i decreti presidenziali del Consiglio di Stato numero 5688/2022 (RG 9253/2022) e numero 5761/2022 (RG 9351/2022) emessi a dicembre con le conseguenti prese di posizione dei Comuni avevano consentito agli operatori del gioco di non chiudere i battenti per effetto del distanziometro sostanzialmente espulsivo sino a gennaio. In questi giorni sono state pubblicate le due ordinanze relative ai procedimenti che interessano i decreti cautelari richiamati, rispettivamente numero 121/2023 e 128/2023. Esse hanno di fatto confermato la sospensione dei provvedimenti di chiusura sino all’esito dei giudizi in corso innanzi al Tar Trento.

La prima ordinanza
La prima ordinanza sul piano del periculum mette in evidenza che la misura va adottata “in considerazione del grave danno economico conseguente alla chiusura dell’attività imprenditoriale della appellante disposta dal Comune di Trento”.
Sul piano del fumus viene specificato che la sospensiva viene adottata “anche al fine di acquisire i necessari elementi istruttori, all’esito della verificazione già disposta dal T.R.G.A.”.
Ma il passaggio di interesse che si vuole qui sottolineare è quello successivo in cui il documento precisa che la verificazione assume rilievo in quanto “sulla cui scorta potrà essere valutata la ragionevolezza e la proporzionalità del criterio “a compasso” adottato per la misurazione delle distanze dai luoghi sensibili che, ad un primo sommario esame, suscita perplessità”.

La seconda ordinanza
La seconda ordinanza quanto al periculum prevede che “le esigenze cautelari prospettate dalle parti appellanti (in relazione alla paventata chiusura dell’attività imprenditoriale) siano prevalenti rispetto all’esigenza della Amministrazione di procedere all’immediata esecuzione del provvedimento impugnato”.
Sul piano del fumus viene chiarito che “la risoluzione delle articolate questioni prospettate nell’atto di appello (cautelare) richiede necessariamente un approfondimento proprio della fase di merito del giudizio (…) e non possa prescindere dall’esito degli accertamenti istruttori già disposti dal giudice di primo grado”.
Ma anche in questo caso il passaggio di interesse che si vuole qui mettere in rilievo è un altro in cui il documento tiene a mettere in evidenza che l’attenzione della fase del merito va riposta “soprattutto con riguardo alla ragionevolezza del criterio individuato dalla Amministrazione per il computo della distanza dai luoghi sensibili”.
Dunque, in entrambi i casi viene posto un dubbio sul criterio di calcolo della distanza.

I decreti presidenziali
Stessa perplessità era stata espressa nei decreti presidenziali dello stesso Consiglio di Stato sopra richiamati laddove veniva messo in evidenza (se ne cita uno) “non persuade neanche la modalità di calcolo delle distanze con il criterio del “compasso”, piuttosto che invece secondo il criterio della distanza stradale pedonale nel rispetto della segnaletica vigente (che, evidentemente, ridurrebbe in qualche misura l’area di interdizione legale)”.

I procedimenti di primo grado
Peraltro, anche nei procedimenti di primo grado innanzi al Tar Trento è trapelata una perplessità su tale criterio posto che nei provvedimenti di rigetto delle istanze cautelari poi impugnate, il Giudice ha formulato al Comune la domanda specifica di quale sia il numero delle sale estromesse dal distanziometro calcolando in luogo del raggio il criterio della distanza pedonale.
Ed infatti, a titolo esemplificativo in entrambe le ordinanze cautelari 20/2022 e 40/2022 del Tar Trento viene chiesto sostanzialmente lo stesso quesito al Comune di riferimento: “una documentata relazione dalla quale risulti l’elenco di tutte le sale giochi e dei pubblici esercizi comunque dotati di apparecchi automatici di gioco che in tutto il territorio comunale attualmente si trovino in posizione non conforme alle distanze contemplate dalla l.p. n. 13 del 2015, nonché il complessivo numero delle licenze di pubblica sicurezza per i predetti apparecchi comunque attive nel territorio comunale”. Ed ancora: “- di confermare che la distanza inferiore ai 300 metri da luoghi sensibili riscontrata (…) è stata calcolata secondo il criterio del raggio in linea d’aria in tutte le direzioni tra l’accesso principale del locale suddetto e l’accesso del luogo sensibile; – di depositare agli atti di causa le risultanze del computo della distanza a piedi da luoghi sensibili”.

Per la legge provinciale
In effetti, la Legge Provinciale Trento n. 13/2015 nell’individuare il principio di interdizione non specifica se il criterio da adottare debba essere il raggio o il percorso pedonale.
Essa precisa solo: (i) all’ art. 5 comma 1 che “è vietata la collocazione degli apparecchi da gioco individuati dall’articolo 110, comma 6, [TULPS] a una distanza inferiore a trecento metri” da una serie di luoghi sensibili specificamente individuati; (ii) all’ art. 14 che “gli apparecchi da gioco individuati dall’articolo 110, comma 6 [TULPS] posti a una distanza inferiore a quella prevista dall’articolo 5, comma 1, sono rimossi entro sette anni dalla data di entrata in vigore di questa legge se collocati nelle sale da gioco (i.e. 12 agosto 2022) ed entro cinque anni dalla medesima data negli altri casi (i.e. 12 agosto 2020)”.

Il Comune
Mentre il Comune, nel contestare la vicinanza ai luoghi sensibili, intimando la rimozione degli apparecchi, si spinge ad evidenziare che il locale destinatario del provvedimento “si trova ad una distanza inferiore a 300 metri dai seguenti luoghi sensibili, calcolata secondo il criterio del raggio, in linea d’aria in tutte le direzioni tra l’accesso/ingresso principale”.

Conclusioni
Dalla lettura dei provvedimenti sembra dunque potersi desumere che da parte dei Giudici vi sia la consapevolezza del problema che un distanziometro siffatto possa essere, almeno potenzialmente, eccessivamente afflittivo e vietare troppe porzioni di territorio rispetto a quelle necessarie e che, pertanto, esso possa determinare conseguenze illegittime.
Tuttavia, emerge anche che nel ricercare la causa di tale eccesso si ponga l’accento sul criterio di calcolo (adottato dal Comune) e non anche sull’eccessiva numerosità delle tipologie dei luoghi ritenuti sensibili o sull’eccesso del numero dei metri di interdizione (indicati dalla legge provinciale).
Tale circostanza, unita al fatto che come evidenziato il principio prescelto risulterebbe operato non a livello legislativo ma a livello comunale, amministrativo, consentirebbe di ritenere che, laddove la censura fosse confermata, si determinerebbe l’annullamento del provvedimento amministrativo di rimozione con l’ordine di ricalcolo attraverso il diverso sistema del percorso pedonale, senza ricorrere a sollevazioni di questioni di legittimità costituzionale.
Alla luce di quanto sopra, può dirsi che va certamente condiviso il tentativo di dare alla norma sul distanziometro una lettura “costituzionalmente orientata” nel senso che non vieti quasi completamente. Ma va allo stesso tempo precisato che i problemi della espulsione dalla sostanziale totalità del territorio rimarrebbero laddove l’effetto del cambio di metodo non restituisse all’insediabilità aree di territori che siano valutate sufficienti per assicurare il presidio dei territori stessi richiesto per la tutela della legalità ed ancor prima per le esigenze sanitarie per le quali il distanziometro stesso è stato concepito.

Geronimo Cardia



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