04 Dic Proibizionismo tra scienza e giurisprudenza (Gioconews dicembre 2017)
Articolo di Geronimo Cardia apparso sul numero di dicembre della rivista specializzata Gioconews
Anche gli studi scientifici, in realtà, sono contro il proibizionismo inflitto al gioco legale. Ecco le prove.
In questo mese prendiamo in considerazione la verifica della effettiva efficacia del “distanziometro” (effettivo, cioè che non espelle sempre che ne esista uno, o espulsivo) rispetto agli obiettivi che esso si pone (la tutela dei minori, dei soggetti deboli, dei giocatori patologici). Il dubbio nasce da riflessioni spontanee e – crediamo – di buon senso quali quella secondo cui andando a vedere le regole imposte per la distribuzione di altri prodotti/servizi delicati quali quelli del tabacco o dell’alcol (pure vietati ai minori) non si trovano dei distanziometri da luoghi sensibili. In questo caso, peraltro, le distanze che si trovano, invece imposte ai tabaccai, tra i tabaccai, invece sembrano concepite per occupare capillarmente il territorio con un’offerta legale importante. O riflessioni quale quella, ad esempio, secondo cui una distanza di 500 metri da una chiesa di una pasticceria certamente non ci farebbe desistere dalla convinzione di comprare le paste per la famiglia la domenica. Se poi la pasticceria si trovasse confinata in un’altra città, certamente troveremmo il modo di accedere alla vendita presso le bancarelle (autorizzate o meno) o ci organizzeremmo a produrre in casa i dolci che cerchiamo. In ogni caso, a pranzo la domenica avremmo le nostre paste.
LE EVIDENZE SCIENTIFICHE – Tuttavia il buon senso, pur aiutando, in ambiti così seri deve necessariamente fare i conti con la visione della produzione scientifica. Ebbene, se l’analisi di questa si fosse limitata alle sue conclusioni, avremmo dovuto prendere atto di una generalizzata reticenza a bocciare la misura del distanziometro. Quello che colpisce, tuttavia, è che andando a vedere nel cuore degli studi scientifici in realtà ci sono passaggi che sembrano invece mettere in serio dubbio l’efficacia della misura del distanziometro. Come primo spunto di riflessione abbiamo preso atto che la letteratura scientifica individua diverse categorie di giocatori. E crediamo si possa riassumere il lavoro riconoscendo fondamentalmente tre categorie di giocatori: quelli sociali (che hanno un rapporto misurato), quelli a rischio e quelli problematici. Alcuni degli studi qui richiamati si spingono a dare delle misure percentuali di prevalenza che proponiamo virgolettate. Nell’articolo di Bellio G., Fiorin A., “Il Modello di Valutazione diagnostica dell’Ambulatorio per il gioco d’azzardo problematico di Castelfranco Veneto”, agosto 2015, in www.andinrete.it, si opera la distinzione tra: “giocatori condizionati nel comportamento”, “giocatori emotivamente vulnerabili” e “giocatori impulsivi antisociali”, citando Blaszczynski e Nower del 2002.
In un altro articolo di Bellio e Fiorin: “I Servizi per le Dipendenze e i giocatori problematici. Organizzazione, valutazione e presa in carico”, marzo 2016, in Mdd Medicina delle Dipendenze Gambling, www.medicinadelledipendenze.it, si precisa che “Sulla base del modello patogenetico si possono pertanto individuare tre tipi di giocatori: il tipo I, II, III di Blaszczynski. Ed ancora, Monaco M., in “La dipendenza dal gioco d’azzardo”, in www.benessere.com, chiarisce che “(…) sono state distinte le seguenti tipologie di giocatori (Alonso Fernandez F., 1996, Dickerson M., 1993): il giocatore sociale che (…) sa governare i propri impulsi distruttivi; il giocatore problematico in cui (…) esistono dei problemi sociali da cui sfugge o a cui cerca soluzione attraverso il gioco; il giocatore patologico in cui la dimensione del gioco è ribaltata in un comportamento distruttivo; il giocatore patologico impulsivo/dipendente in cui i gravi sintomi che sottolineano il rapporto patologico (…) sono talvolta più centrati sull’impulsività e altre volte sulla dipendenza”. Baroncelli S., in “La psicologia del gioco d’azzardo patologico”, 2 novembre 2014, in www.polimniaprofessioni.com individua “[i] Il giocatore sociale (…) [ii]Il giocatore problematico (…) [iii] I giocatori patologici. Serpelloni G., “Gioco d’azzardo problematico e patologico: inquadramento generale, meccanismi fisiopatologici, vulnerabilità, evidenze scientifiche per la prevenzione, cura e riabilitazione, Manuale per i Dipartimenti delle Dipendenze”, 2013, in Gambling individua il gioco “[i] (…) informale e ricreativo. (…) [ii] (…) problematico(…); [iii] (…) patologico(…)”.
Nel Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, “Year Book 2016 Rischi da giocare”, 2016, in www.cnca.it si legge che “(…) il test Cpgi – Canadian Problem Gambling Index (Ferris & Wynne, 2001 a, b), adattato e validato a livello nazionale (Colasante et al., 2013) (…) ha evidenziato che poco meno del 15% dei giocatori 15-64enni ha un comportamento di gioco definibile “a basso rischio”, il 4% è “a rischio moderato” e l’1,6% “problematico”. Analizzando il cuore della produzione scientifica di riferimento, sembrerebbe potersi dire che sia pieno di spunti per affermare che i giocatori problematici e quelli patologici non solo non si fermino di fronte ad una distanza di 500 metri da luoghi sensibili come Chiese o scuole, ma non siano nemmeno disposti a rinunciare a giocare in presenza di chilometri da affrontare. Ecco di seguito gli spunti da cui sembra potersi evincere questa denunziata incapacità di controllarsi che si aggiungono alle caratteristiche sopra richiamate. Ed infatti, Scalese M., Bastiani L., Salvadori S., Gori M., Lewis I., Jarre P., Molinaro S., in “Relazione tra numero e tipo di giochi d’azzardo praticati e gioco problematico nella popolazione generale italiana”, marzo 2016, in Mdd Medicina delle Dipendenze Gambling, www.medicinadelledipendenze.it affermano che “I giocatori patologici sono persone cronicamente e gradualmente sempre più incapaci di resistere all’impulso di giocare (…)”.
Ancora Bellio e Fiorin, nel 2015 in www.andinrete.it precisano che “Il disturbo (…) si caratterizza per un persistente o ricorrente stile maladattivo e dannoso (…) in cui il soggetto, avendo perso il controllo sul proprio comportamento (…) soffre (…)”. E ancora, nel 2016, in Mdd Medicina delle Dipendenze Gambling, www.medicinadelledipendenze.it ulteriormente precisano che “(…) oramai appare prevalente l’opinione che il disturbo (…) appartenga al gruppo delle addiction. (…) l’impulsività da non pianificazione, ovvero la tendenza a prendere decisioni senza aver adeguatamente considerato le conseguenze a breve, medio e lungo termine dei comportamenti. (…) tipicamente alterata nei soggetti con dipendenza patologica”. Nella pubblicazione del Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri, “relazione annuale al parlamento 2016 sullo stato delle tossicodipendenze in italia”, 2016, in www.politicheantidroga.gov.it si legge che il gap “veniva classificato nel dsm-iv-tr (…) come “un comportamento persistente, ricorrente, e mal adattativo (…), in grado di compromettere le attività personali, familiari, o lavorative”. Qui Serpelloni afferma che “Il soggetto (…) non è in grado di inibire volontariamente il desiderio di attuare comportamenti di gioco (…) patologico e non si mostra capace di passare da un rinforzo del comportamento additivo ad un meccanismo di rinforzo meno auto-distruttivo. (…) le persone affette da [Gap] (…) hanno una minor flessibilità mentale (in particolare nella riformulazione e nell’uso di nuove strategie cognitive) e capacità di formazione di concetti e quindi, in ultima analisi, un ridotto grado di apprendimento su come operare scelte vantaggiose”. Spagnolo M.L., Devietti Goggia F., Le Foche G., Monge S., Pellegrini E., Recchia R., Turinetti E., Jarre P., in “Le attività di un Servizio pubblico per il gioco d’azzardo patologico in Italia”, in www.docplayer.it mettono in evidenza che “Il tutoraggio economico ha come scopo il recupero da parte del giocatore di un rapporto sano con il denaro che, nella maggior parte dei casi, perde il suo valore concreto e viene sperperato senza criteri o regole”. Florido M., Spagnolo M.L., “Percorsi residenziali per giocatori d’azzardo patologici: l’esperienza della comunità residenziale” Lucignolo & Co. e della comunità residenziale breve Sidecar, 2009, in Medicina delle Tossicodipendenze, Italian Journal of the Addictions affermano che il GAP “è stato riconosciuto ufficialmente come disturbo psichiatrico a sé stante dall’American Psychiatric Association 1980. Nel 1994, è stato classificato nel Dsm-IV (…) come “disturbo del controllo degli impulsi non classificati altrove”.
Blaszczynski A., Collins P., Fong D., Ladouceur R., Nower L., Shaffer H.J., Tavares H., Vanisse J.L., in “Il gioco responsabile: principi generali e requisiti di minima”, settembre 2015, in MDD Medicina delle Dipendenze Gambling, www.medicinadelledipendenze.it aggiungono che “I clinici usano descrittori come “problematico”, “compulsivo”, o “patologico”, per riferirsi a giocatori di qualsiasi età che riportino, nel corso della loro vita o in un determinato momento, sintomi clinici o difficoltà di controllo, definibili come spendere più denaro nel gioco di quanto ci si potrebbe permettere (…)”. Baroncelli S., in op. cit. mette in evidenza che “L’Arizona Council on Compulsive Gambling (1999), definisce il [Gap] (…) come un disturbo progressivo, caratterizzato dalla continua perdita di controllo in situazioni di gioco, dal pensiero fisso di giocare e di reperire denaro per continuare a farlo, dal pensiero irrazionale e dalla reiterazione del comportamento, nonostante le conseguenze negative che provocano sul soggetto”. Iliceto P., Fino E., in: “La Gambling Related Cognitions Scale (Grcs-I): uno strumento valido nell’assessment di cognizioni relative al gioco d’azzardo nella popolazione italiana”, 2013, Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A. infine chiariscono che la “«Incapacità di smettere di giocare» (…) si riferisce alla convinzione (…) di essere incapace di controllare il proprio impulso a giocare, che indurrebbe una propensione minore a provare a controllare tale impulso”. Per la verità, molti degli studi evidenziati mettono altresì in risalto il fattore della cosiddetta “accessibilità” al gioco che potrebbe in linea teorica favorire il gioco. Tuttavia tale richiamo mal si concilia, almeno agli occhi di un osservatore esterno come lo scrivente, con tutte le affermazioni sopra riportate in cui emergerebbe un’incapacità di controllo e di ponderazione di fattori razionali quali la vicinanza o meno ai propri luoghi di frequentazione, quale l’accessibilità appunto. Ma su questo si torna in chiusura.
Certamente nessuno studio mette in evidenza una valutazione su quali siano poi i luoghi di maggiore frequentazione dei soggetti in questione e nessuno studio, dunque, certifica l’idoneità di un luogo sensibile utilizzato piuttosto che di un altro. In altre e semplici parole non vi sono studi che analizzano in concreto se una chiesa, piuttosto che un ospedale, piuttosto ancora una scuola siano effettivamente luoghi sensibili idonei a integrare la fattispecie di un distanziometro non espulsivo ed efficace rispetto allo scopo che si prefigge. Diverse sono poi le considerazioni registrate nella letteratura scientifica riguardo i comportamenti ascritti al giocatore medio, a quello che è definito giocatore sociale, che, in linea teorica, se posto di fronte alla scelta di percorrere chilometri per accedere ad una forma di gioco legale, ha tutta la razionalità e tutta la centratura per compiere la scelta di non andare e di preferire altre forme di gioco, legali o illegali, o altre forme di intrattenimento. Con la conseguenza, peraltro, che l’operatore legale decentrato, marginalizzato ai confini dell’“impero”, se non è già stato espulso dal distanziometro, finisce per perdere una fetta importante di ricavi al punto da non poter più coprire i costi fissi fino a perdere quella continuità aziendale imposta alle imprese per sopravvivere Baroncelli, mette in evidenza che “Il giocatore sociale (…) senza fatica, intuisce, senza oltrepassarlo, il labile confine tra semplice distensione, passatempo e morboso accanimento. (…) può interrompere il gioco quando lo desidera e fa maggiore affidamento sui dati di realtà piuttosto che su un irragionevole senso di onnipotenza, elemento, questo, che gli consente di capire lucidamente quando è il momento di smettere. (…) non mettono in gioco tutti loro stessi e si lasciano coinvolgere emotivamente solo in parte”. Lo stesso Serpelloni, offre lo spunto per valutare che si tratta di “Gioco d’azzardo informale e ricreativo. Comportamento fisiologico con necessità di consapevolezza dei potenziali rischi. Caratteristiche: gioco saltuario, principale motivazione: socializzazione e competizione, spesa contenuta”.
LE CONSEGUENZE – Da quanto sopra non solo sembrerebbe che Effetto Espulsivo o marginalizzazione di fatto non curano e non contrastano effettivamente l’impulso patologico o problematico ma, addirittura, per quanto dedotto, se risulta verificato il teorema che al proibizionismo del gioco legale corrisponde l’invasione del gioco illegale, di fatto peggiorano la qualità del prodotto al punto da penalizzare ulteriormente la patologia dei soggetti deboli alimentando ulteriormente le loro patologie. Sul punto, è molto interessante quanto precisato da Caneppele S, Marchiaro M, “Gioco d’azzardo patologico: monitoraggio e prevenzione in Trentino, Rapporto Progetto Pre. Gio. 2013-2014”, maggio 2016, in www.transcrime.it. In detta relazione, infatti viene precisato quanto segue in merito alle “Restrizioni sulla disponibilità di gioco. È noto che l’aumentare della disponibilità di determinate tipologie di prodotti, che possono creare una dipendenza pur essendo legali, incrementa anche il loro utilizzo, tuttavia tale relazione non è mai semplice e lineare (Williams, West, e Simpson 2012). (…), diversi autori hanno sostenuto una relazione positiva fra la disponibilità e l’accessibilità (…) da un lato, e i tassi di prevalenza (…) dall’altro (Marshall e Baker 2002; Parsons e Webster 2000; Pearce et al. 2008; Shaffer, LaBrie, e LaPlante 2004; John William Welte et al. 2009; 2004). Tuttavia, tale relazione si presenta alquanto complessa. Come spiegato da Williams e colleghi (2012), i tassi di gioco problematico in Nord America e Australia hanno iniziato a crescere nel decennio 1985-1995, hanno raggiunto l’apice nel decennio successivo, ma da quel momento hanno iniziato ad abbassarsi. Il periodo di crescita dei tassi di prevalenza del GAP è risultato sostanzialmente coincidente con la rapida introduzione e la relativa espansione delle opportunità di gioco legali nei Paesi considerati, il che si è mostrato strettamente connesso all’incremento della spesa pro-capite per gioco (…) e ad un aumento complessivo dei tassi di partecipazione a questa attività. Dopo tale fase è iniziato un graduale calo delle percentuali complessive dei soggetti definiti come problematici e, attualmente, i tassi di persone con problemi di gioco (…) eccessivo sono analoghi a quelli degli anni ’80, prima dell’espansione del gioco. Poiché la disponibilità (…) è in costante aumento negli ultimi trent’anni in molti Paesi, i risultati dell’indagine possono supportare due tesi differenti, ma non necessariamente in contrasto (Shaffer, LaBrie, e LaPlante 2004; Storer, Abbott, e Stubbs 2009): l’aumento della disponibilità (…) porta ad una crescita nei tassi complessivi di Gap; le popolazioni tendono ad adattarsi nel corso del tempo. Esistono infatti differenti meccanismi potenzialmente responsabili della diminuzione della prevalenza del gioco (…) eccessivo (Williams, Volberg, e Stevens 2012,7): crescita della consapevolezza della popolazione dei possibili danni legati al gioco (…) (abbassamento dei livelli di predisposizione all’attività); diminuzione complessiva della partecipazione alle attività di gioco (maggiore cautela dopo il primo periodo di novità); esclusione di alcuni soggetti dal gruppo di giocatori considerati problematici a causa di gravi conseguenze negative derivanti dal gioco stesso (bancarotta, suicidio, ecc.); aumento degli sforzi complessivi volti a garantire un gioco “sicuro” e a mettere in atto programmi di prevenzione efficaci contro il GAP; aumento dell’età della popolazione. Partendo dal presupposto che di fronte al fenomeno (…) occorre sviluppare strategie complessive che tendano a minimizzarne gli effetti negativi e, nello stesso tempo, a riconoscerne i potenziali benefici, emerge chiaramente come, in prospettiva, siano da escludere dal dibattito le due opzioni estreme: il proibizionismo e il liberalismo di mercato. L’opzione proibizionista, ossia considerare il gioco d’azzardo, in quanto tale, un’attività illegale porterebbe a una crescita esponenziale del mercato clandestino dei giochi e darebbe ampiospazio alla criminalità organizzata e al banditismo”. E posto che l’ipotesi liberista estrema non sia neanche sul tavolo delle idee, resta da salutare con soddisfazione che anche la valutazione scientifica del proibizionismo rappresenta una bocciatura chiara. In sostanza vengono bocciate inaccessibilità ed accessibilità eccessiva. Al legislatore l’ardua missione di individuare una tempo per tempo misurata accessibilità che certo non è né la marginalizzazione né tanto meno il proibizionismo dell’Effetto Espulsivo imposto dai distanziometri attuali
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