In provincia di Bolzano l’effetto espulsivo c’è eccome, anche se il Consiglio di Stato non lo vede. Dopo la clamorosa pronuncia, la rivista Gioco News pubblica uno speciale di approfondimento sulla Questione Territoriale, ancora da archiviare. Di seguito viene proposto un estratto
La sentenza del Consiglio di Stato n.1618/2019 ha rigettato dieci ricorsi di altrettanti operatori del comparto che lamentano la non manifesta infondatezza di alcune questioni di legittimità costituzionale della norma della Provincia di Bolzano che prevede l’imposizione a sale, che distribuiscono il gioco pubblico sul territorio, di un distanziometro di 300 metri, rispetto ad una serie di luoghi ritenuti sensibili. Dopo circa venticinque pagine dedicate alla descrizione delle parti ed alla conferma della competenza della Provincia a deliberare in materia di salute (per la verità non contestata da chi scrive e pertanto qui non affrontata), la sentenza dimostra di discostarsi dalla valutazione generale della Ctu prendendo per buoni solo alcuni aspetti ma di fatto travisandone il senso. Il Ctu, infatti, pur impuntandosi sulla necessità che il dato di interdizione debba essere dedotto fornendo la metratura in termini assoluti della superfice utilizzabile e non rappresentando il dato della percentuale di divieto, ha comunque concluso i suoi lavori affermando in sintesi che il luoghi sensibili sono quelli indicati dai ricorrenti (pur usando per prudenza nei fatti il criterio proposto dalla Provincia), che pur esistendo spazi ristretti di insediamento in linea teorica (ma non verificati nel concreto), comunque non tutti gli operatori potrebbero effettivamente spostarsi, fermo restando che la misura non cura, non previene e finisce per essere contro lo scopo.
Venendo al punto, la sentenza afferma sostanzialmente quattro cose: che dalla perizia del consulente tecnico d’ufficio nominato dai giudici risulterebbe che non esiste l’effetto espulsivo, se inteso come divieto sul 100 percento del territorio; che non esisterebbe effetto espulsivo perché “i luoghi non coperti da divieto sarebbero sì ridotti ma sufficienti ad ospitare gli spostamenti delle sale” e “le realtà economiche potrebbero spostarsi in periferia senza problemi e potrebbero continuare ad avere gli stessi ricavi registrati ante spostamento, però derivanti dai maggiori introiti delle giocate effettuate da giocatori problematici e patologici”; che la normativa sarebbe perfettamente efficace, invece, nei confronti dei giocatori razionali essendo “assodato” che la raccolta del gioco pubblico diminuirebbe perché questi, i giocatori razionali, non sarebbero sollecitati al gioco per il venir meno della presenza sul territorio delle sale in quanto, a differenza di quanto indicato dal Ctu, i giocatori razionali non sarebbero affatto immuni da rischi; che per il giocatori problematici e patologici potrebbero essere in futuro previste altre misure.
In realtà e cose non stanno esattamente così. Dalla Ctu risulterebbe che non esiste l’effetto espulsivo, se inteso come divieto sul 100 percento del territorio. Nella sentenza si legge che “In primo luogo è emerso che, sotto un profilo geografico-territoriale-urbanistico, l’applicazione del criterio della distanza (…) non determina in nessuno dei comuni presi in considerazione (…) una privazione dell’intero segmento di mercato”, in quanto “non comporta un’interdizione/espulsione assoluta degli esercizi gestiti dalle imprese ricorrenti né dal territorio dei singoli comuni interessati dai vari ricorsi (compresi i territori dei comuni limitrofi) né, tanto meno, dall’intero territorio provinciale”. Il punto, d’effetto, va smentito per i fraintendimenti che genera, essendo la realtà, in concreto, diversa da quella che finisce per essere rappresentata. I ricorrenti non hanno mai sostenuto che per “effetto espulsivo” si intenda un divieto pari al 100 percento del territorio di interesse. I ricorrenti hanno sempre sostenuto che vi sia un effetto espulsivo dell’offerta pubblica di gioco generato da un divieto imposto sulla sostanziale totalità (non sulla totalità) del territorio: in altre parole i ricorrenti hanno sempre detto che dalla applicazione della normativa discende un divieto su una percentuale importante di territorio, come ad esempio il 99 percento, che è prossima, non uguale, al 100 percento. A differenza di quanto indicato nella sentenza, l’analisi del Ctu ha evidenziato che i territori non coperti da divieto dal territorio rappresentano superfici estremamente ridotte che, paragonate alla superficie comunale totale, sostanzialmente confermano le percentuali di interdizione rappresentate dai ricorrenti. Peraltro, anche la ricostruzione – di parte – operata dai Ctp della Provincia di Bolzano, che presenta metrature non coperte da divieto leggermente (leggermente, non nettamente) superiori rispetto a quelle indicate dal Ctu, finiscono per confermare nella sostanza (ma ovviamente non alla virgola) le percentuali di interdizione mostrate dai ricorrenti. E ciò non solo per la città di Bolzano ma anche per gli altri 47 comuni (limitrofi e non) analizzati dagli elaborati peritali.
La Tabella 1 sopra riportata rappresenta con estrema chiarezza, per ciascuno dei 48 comuni della Provincia di Bolzano ivi elencati ed analizzati, in tre colone diverse la percentuale di interdizione denunciata dai ricorrenti, la percentuale di interdizione rappresentata dallo studio del Ctu e la percentuale di interdizione proposta dalla parte Provincia di Bolzano. Si può agevolmente notare quanto i valori siano sostanzialmente simili e allo stesso tempo per questo preoccupanti per le conseguenze denunziate. Ad esempio, per la città di Bolzano: l’elaborato dei consulenti tecnici di parte dei ricorrenti evidenzia un’area disponibile di 0,34 Km, ed una percentuale di interdizione del 99,35 percento; l’elaborato del Ctu evidenzia un’area disponibile di 1,67 Km, ed una percentuale di interdizione del 96,81 percento; l’elaborato del consulente di parte della Provincia evidenzia un’area disponibile di 3,82 Km, e una percentuale di interdizione del 92,70 percento. Mentre, da un lato, nessuno avrebbe difficoltà a dire che se il distanziometro avesse vietato solo il 7 percento del territorio non avrebbe regolamentato minimamente la distribuzione sul territorio del gioco pubblico, dall’altro, nessuno da anni trova il coraggio di dire che consentire l’1 percento, o il 3 percento o il 7 percento del territorio significa di fatto proibire completamente. Il punto è centrale perché inspiegabilmente la sentenza si appoggia (ma solo per questo aspetto) sulla valutazione del Ctu che ritiene apoditticamente che parlare di percentuale abbia finalità meramente evocative se non si tratti del 100 percento.
La Sentenza però non valuta che sempre il Ctu, pur accogliendo ogni valutazione dei ricorrenti sulla numerosità e sulla natura dei luoghi sensibili da considerare per il calcolo di interdizione, giunge ad una superficie teorica di insediamento solo leggermente diversa da quella dei ricorrenti. La sentenza non valuta che detta superficie pur sempre molto, molto ristretta non sia stata analizzata nel dettaglio dal Ctu (come invece fatto dai periti dei ricorrenti) avendo affermato il Ctu di non poter fare l’analisi in concreto della effettiva utilizzabilità immobile per immobile.
E invece, la valutazione della percentuale di interdizione, l’analisi puntuale e in concreto delle aree non coperte da divieto del distanziometro per verificare la loro effettiva utilizzabilità rappresentano il cuore della valutazione richiesto dall’ordinanza, il cuore dell’errore tecnico denunciato e il cuore della decisione. È il bene della vita che va tutelato e la tutela va ricercata in concreto e non sulla base di assunzioni, per quanto comode. Ecco perché, in realtà, l’effetto espulsivo c’è e ci sarà, eccome.
Non esisterebbe effetto espulsivo perché i luoghi non coperti da divieto sarebbero sì ridotti ma sufficienti a ospitare gli spostamenti delle sale e le realtà economiche potrebbero spostarsi in periferia, senza problemi, e continuare ad avere gli stessi ricavi, derivanti dai maggiori introiti delle giocate effettuate da giocatori problematici e patologici. Il ragionamento della Sentenza è in questo caso articolato in due punti. Riguardo il primo punto per il quale non esisterebbe effetto espulsivo perché i luoghi non coperti da divieto sarebbero sì ridotti ma sufficienti a ospitare gli spostamenti delle sale, in particolare la sentenza afferma che “le simulazioni e i rilevamenti effettuati dal consulente tecnico d’ufficio hanno evidenziato la persistente sussistenza di uno spazio utile residuo nell’ambito dei singoli terrori comunali, bensì tendenzialmente ristretto, ma pur sempre idoneo e sufficiente per l’organizzazione economica delle attività delle sale giochi gestite dalle imprese odierne appellanti [v. la tabella 2.7. riportata nelle due relazioni peritali, con l’evidenziazione dell’estensione delle aree potenzialmente disponibili che consente la (ri)collocazione, in ognuno dei territori comunali in questione, oggetto dei due gruppi di ricorsi, di esercizi dedicati al gioco]”.
Va premesso che la Sentenza travisa la Ctu laddove non coglie il passaggio in essa considerato secondo cui alla luce della mancanza di un elenco analitico dei luoghi sensibili per la individuazione delle aree vietate, fornito dalle amministrazioni provinciali e comunali, si determina “un’alea interpretativa che genera un’incertezza irredimibile”. E ciò anche dopo che la Provincia si sia affrettata a deliberare profili interpretativi di alcuni luoghi sensibili di cui il Ctu ha pure tenuto conto, ma cogliendone la persistente incertezza (il riferimento è ai campi sportivi, agli studi medici ed alle farmacie). Infatti, la Sentenza travisa la Ctu laddove afferma che l’incertezza irredimibile possa ritenersi superata dalla Delibera della Giunta Provinciale n. 505 del 29.5.2018 “che per dichiarati «motivi di trasparenza e ai fini di una uniforme attuazione della disposizione normativa a livello provinciale», ha specificato quali fossero le strutture da potersi classificare come luoghi sensibili all’interno della categoria delle «strutture sanitarie e socio-assistenziali pubbliche e private che svolgono attività di accoglienza, assistenza e consulenza»”. Il travisamento sta nel fatto che, in realtà, la perizia giunge alla conclusione sul punto accogliendo le critiche dei periti urbanisti sui luoghi sensibili che la delibera in questione ha preteso di ritenere non più sensibili. Il Ctu sul punto ha, infatti, chiaramente richiamato queste tre precisazioni: “Si consideri ad esempio la categoria “centri giovanili o altri istituti frequentati principalmente dai giovani”. E’ invero complicato definire con esattezza cosa si intenda con la locuzione “centri giovanili o altri istituti frequentati principalmente dai giovani”; nella replica.
Inoltre, a differenza di quanto indicato in sentenza, i luoghi “ristretti” non coperti dal divieto non è dimostrato in alcuna parte siano effettivamente insediabili, non è dimostrato da alcuna parte che siano privi di divieti di natura urbanistica diversi dal distanziometro. In realtà i consulenti tecnici dei ricorrenti hanno prodotto perizie con focus specifici che dimostrano l’inutilizzabilità in concreto degli spazi individuati dal Ctu e dalla Provincia. Dette valutazioni, a differenza di quanto affermato in sentenza, non sono state affrontate. Va purtroppo rilevato il dato preoccupante che in realtà, a differenza di quanto indicato nella Sentenza, i luoghi non coperti da divieto – che sono quindi “ridotti” per stessa ammissione del Giudice – sono tutt’altro che sufficienti ad ospitare gli spostamenti delle sale. Ed infatti valga considerare due questioni estremamente semplici e documentate nelle perizie integrative redatte appositamente per le zone residuali. In primo luogo, molte delle parti considerate non coperte dal divieto sono in realtà oggettivamente non insediabili (vuoi perché si tratta di caserme o di prati, vuoi perché si tratta di zone verdi o di zone produttive). E molte delle aree non coperte da divieto e teoricamente utilizzabili non lo sono nei fatti. Ciò risulta in atti perché, da un lato, i ricorrenti hanno prodotto perizie che precisano questi aspetti e, dall’altro, il Ctu ha ammesso che: “Dal lato dell’offerta di nuovi spazi commerciali per le attività dei ricorrenti, non tutto il territorio individuato sarà disponibile, per limiti tecnici ed economici. Alcuni spazi sono infatti tecnicamente incompatibili con le attività in questione”; “fare un calcolo preciso della contrazione del segmento di mercato richiederebbe di effettuare sul territorio un’analisi immobile per immobile che va al di là delle possibilità di questa Ctu”. Di questo aspetto centrale la Sentenza non ha tenuto conto affatto. In sostanza il Ctu ha rinunciato a verificare in concreto l’insediabilità sulla superficie che ha individuato come non coperta da divieto ed evidenziata nella Tabella 2.
Tra le perizie dello studio di urbanisti Menato-Meneghetti prodotte dai ricorrenti che provano l’inutilizzabilità degli spazi indicati dalla Provincia o dal Ctu, vi sono quelle che hanno dimostrato l’impossibilità di insediamento nella maggioranza dei luoghi (come motivato, dimostrato e documentato nello speciale disponibile sul cartaceo, Ndr). Rendendo evidente che calcolare queste aree come superfici in concreto insediabili significa, quantomeno, non cogliere nel segno. Il Ctu avrebbe dovuto invece scendere nel dettaglio, come fatto dai periti di parte e la sentenza avrebbe dovuto valutare la concreta impossibilità di spostamento delle sale in una superficie così ridotta come quella di 1,6 Km indicata dal Ctu.
Riguardo il secondo punto del ragionamento della sentenza analizzato in questo paragrafo, per il quale non esisterebbe effetto espulsivo perché le realtà economiche potrebbero spostarsi in periferia, senza problemi, e continuare ad avere gli stessi ricavi, derivanti dai maggiori introiti delle giocate effettuate da giocatori problematici e patologici, vanno chiariti alcuni aspetti.
Prima di tutto, in realtà, gli spostamenti in periferia sono tutt’altro che scontati anche perché non ci sono necessariamente né gli ingenti capitali né le speciali capacità imprenditoriali indicate dal Ctu che possano consentirlo con l’automatismo proposto in sentenza. Tra l’altro lo stesso Ctu viene travisato quando denunzia una contrazione di mercato rilevante, laddove ad esempio precisa che: “la definizione delle aree ora disponibili è però senz’altro idonea a determinare una contrazione del segmento di mercato de quo”, che “è lecito attendersi un progressivo incremento di processi di concentrazione”, che “qualche operatore locale potrà sopravvivere nel caso goda di qualche fattore esclusivo (…) (un buona localizzazione ex ante e un alto livello di clientela già fidelizzata)”, che “per le odierne parti appellanti ciò richiede capacità strategica e forza economica da esercitarsi alle nuove condizioni imposte dalla censurata disciplina, previo scomparire”. Ma non è tutto. Anzi. Il resto lo vedremo nella prossima puntata.
(Il testo integrale pubblicato sulla rivista cartacea Gioco News di aprile 2019, disponibile anche online, e sul prossimo numero di maggio).
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