L’antiriciclaggio non è un gioco: i consigli per gli operatori del settore e le pesanti sanzioni ( Lo Scommettitore Agosto 2015)

L’antiriciclaggio non è un gioco: i consigli per gli operatori del settore e le pesanti sanzioni ( Lo Scommettitore Agosto 2015)

Più volte è capitato di mettere in risalto l’importanza dell’applicazione della normativa antiriciclaggio da parte degli operatori del settore. Altrettante volte è stato messo in evidenza quali costi di implementazione e di gestione tali adempimenti comportino, sia a livello di concessionari di stato (online, delle Awp/Vlt, delle scommesse), sia a livello di operatori della filiera (gestori, gestori di sala ed esercenti di sale scommesse).

La misurazione di quanto l’ordinamento giuridico tenga al funzionamento effettivo del sistema di presidio del rischio del riciclaggio, da un lato, e l’attenzione riposta dagli operatori ai numerosi adempimenti imposti, dall’altro, non prescindono dalle rilevanti sanzioni, amministrative e penali, che l’ordinamento stesso riserva ai soggetti che, per tipologia di professione (vuoi perché banche, professionisti, o, come nel caso che oggi interessa, perché operatori del settore del gioco) sono chiamati a supportare le autorità di riferimento nell’azione di contrasto al riciclaggio.

LE SANZIONI – Uno sguardo alle sanzioni applicabili impone il richiamo delle seguenti condotte che si aggiungono a quella ben nota di chi trasferisca denaro contante per importi pari o superiori a 1.000 euro, che comporta la sanzione dall’1 al 40 percento dell’importo trasferito (art. 58, comma 1, del D.Lgs. 231/2007). In particolare: la mancata verifica della clientela (il cosiddetto obbligo di identificazione) comporta una multa da 2.600 a 13mila euro (art. 55, comma 1, D.Lgs. 231/2007); l’omessa registrazione dei dati identificativi, o l’effettuazione in modo tardivo o incompleto, comporta una multa pari alla precedente, (art. 55, comma 4, D.Lgs. 231/2007); l’eventuale comunicazione al cliente dell’avvenuta segnalazione dell’operazione sospetta comporta l’arresto da 6 mesi a 1 anno o l’ammenda da 5mila a 50mila euro (art. 55, comma 8); l’omessa o falsa indicazione da parte dell’esecutore dell’operazione delle generalità del soggetto per conto del quale si effettua l’operazione comporta la reclusione da 6 mesi a 1 anno e la multa da 500 a 5mila euro (art. 55, comma 2, D.Lgs. 231/2007); l’omessa o falsa indicazione da parte dell’esecutore dell’operazione di informazioni sullo scopo dell’operazione e sulla natura del rapporto o della prestazione comporta l’arresto da 6 mesi a 3 anni e l’ammenda da 5mila a 50mila euro (art. 55, comma 3, D.Lgs. 231/2007); l’omessa comunicazione ex art. 52 comma 2 (atti o fatti che possano essere violazione di disposizioni di organizzazione e controllo emanate da banca d’Italia) comporta la reclusione fino a 1 anno e multa da 100 a mille euro (art. 55, comma 5, D.Lgs. 231/2007); l’utilizzo di carte di credito o pagamento non proprie può comportare la reclusione da 1 a 5 anni e la multa da 310 a 1.550 euro (art. 55, comma 9, D.Lgs. 231/2007); l’inosservanza delle disposizioni su organizzazione, registrazione, procedure (anche formazione del personale) e controlli può comportare la sanzione da 10mila a 200mila euro (art. 56, comma 1, D.Lgs. 231/2007); l’omessa istituzione dell’archivio unico informatico (per chi sia tenuto a implementarlo) comporta una sanzione da 50mila a 500mila euro (art. 57, comma 2, D.Lgs. 231/2007); la mancata tenuta dell’archivio informatico o del registro della clientela comporta una sanzione da 5mila a 50mila euro (art. 57, comma 3, D.Lgs. 231/2007); l’omessa segnalazione delle operazioni sospette comporta la sanzione dall’1 al 40 percento dell’importo non segnalato (art. 57, comma 4, D.Lgs. 231/2007); la violazione dell’obbligo di comunicazione previsto dall’articolo 51, comma 1, comporta la sanzione dal 3 al 30 percento dell’importo dell’operazione (art. 58, comma 7, D.Lgs. 231/2007).

È importante sottolineare, peraltro, che ove sia richiesta la necessaria e materiale collaborazione dei soggetti appartenenti alla filiera non è escluso che le sanzioni siano contestate anche a questi ultimi, anche a titolo di concorso.

Va riconosciuto che la disciplina sia articolata e che le fonti siano da ricercare da più parti, ma quel che si vuol oggi mettere in evidenza è che la filosofia che è dietro alla richiesta formulata dall’ordinamento giuridico agli operatori è chiara: collaborare affinché sia il più possibile prevenuto il rischio di riciclaggio.

Gli operatori che la norma coinvolge nell’azione di contrasto sono diversi, tra cui  banche, società di gestone del risparmio, commercialisti, notai, avvocati, società di revisione, revisori contabili. A questi, poi, si aggiunge la categoria di quelli che vengono chiamati ‘altri soggetti’ e che fondamentalmente sono quelli che svolgono le seguenti attività (riassunte in breve): recupero di crediti per conto terzi, custodia e trasporto di denaro contante e di titoli o valori (con o senza guardie giurate); gestione di case da gioco; offerta, attraverso la rete internet e altre reti telematiche o di telecomunicazione, di giochi, scommesse con vincite in denaro (..); agenzia di affari in mediazione immobiliare (in tutti i casi, in presenza delle necessarie autorizzazioni).

LA DEFINIZIONE – Venendo ora alla definizione di riciclaggio, può ricorrersi a quanto precisato dal legislatore secondo cui le seguenti azioni, se commesse intenzionalmente, costituiscono riciclaggio: la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l’origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni; l’occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; l’acquisto, la detenzione o l’utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; la partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere precedenti, l’associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o il fatto di agevolarne l’esecuzione (art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 231/2007).

L’azione richiesta agli operatori indicati nel D.Lgs. 231/2007 è sostanzialmente quella di valutare i comportamenti dei soggetti con cui abbia a che fare per l’attività che compie, di segnalare i casi rilevanti fino ad astenersi. Di qui la definizione di legge del cosiddetto ‘cliente’, secondo cui, per la parte di interesse, è tale il soggetto che instaura rapporti continuativi o compie operazioni con gli operatori coinvolti nell’azione di contrasto al riciclaggio (art. 1, comma 1, lett. e del D.Lgs. 231/2007).

Tra le cose che occorre verificare v’è quella di comprendere se il cliente sia o meno il titolare effettivo della operazione che sta compiendo. E anche in questo caso, la norma consente di avere una definizione secondo cui è tale la persona fisica per conto della quale è realizzata un’operazione o un’attività, ovvero, nel caso di entità giuridica, la persona o le persone fisiche che, in ultima istanza, possiedono o controllano tale entità (o ne risultano beneficiari secondo criteri allegati alla norma).

IL PRINCIPIO DI COLLABORAZIONE – Ciò detto può rammentarsi il principio di collaborazione attiva degli operatori coinvolti a cui è espressamente richiesto di adottare “idonei e appropriati sistemi e procedure in materia di obblighi di adeguata verifica della clientela, di segnalazione delle operazioni sospette, di conservazione dei documenti, di controllo interno, di valutazione e di gestione del rischio, di garanzia dell’osservanza delle disposizioni pertinenti e di comunicazione per prevenire e impedire la realizzazione di operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo [con la precisazione che] essi adempiono gli obblighi previsti avendo riguardo alle informazioni possedute o acquisite nell’ambito della propria attività istituzionale o professionale” (art. 3, comma 1, D.Lgs. 231/2007).

Di qui l’impegno degli operatori di declinare al meglio i principi posti dalle disposizioni che li riguardano, che necessariamente coinvolgono le varie strutture aziendali di cui si avrà modo di dire.

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