Il Consiglio di Stato censura un “effetto sostanzialmente espulsivo”, trattando il distanziometro regionale dell’Emilia Romagna sul territorio di Riccione. (Lo Stato ai margini del gioco, Gioconews – febbraio 2024)

In questo articolo ripercorriamo i contenuti di una recente sentenza del Consiglio di Stato nella quale viene prima messo in evidenza un aspetto da tempo invocato: si ammette che per censurare un distanziometro non occorra necessariamente che si cristallizzi un divieto di insediamento assoluto, totale, del 100%, essendo sufficiente un effetto anche solo “sostanzialmente espulsivo”. Ma successivamente si torna a parlare di effetto meramente marginalizzante nonostante le minime percentuali di insediamento registrate ed inspiegabilmente si fa una differenza tra realtà preesistenti (pure importantissime) e nuove installazioni.

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Il distanziometro in questione

Si tratta del distanziometro di Riccione, di derivazione regionale ma applicato direttamente dal comune.  La sentenza del Consiglio di Stato è la n. 17/2024 del 2/1/2024 (RG 6450/2021)

Come è noto in Emilia Romagna l’art. 48 della L.R. n. 5 del 4/7/213, recante “Norme per il contrasto, la prevenzione, la riduzione del rischio della dipendenza dal gioco d’azzardo patologico, nonché delle problematiche e delle patologie correlate”, modificato dalla L.R. n. 18 del 28/10/2016, a sua volta recante il “Testo unico per la promozione della legalità e per la valorizzazione della cittadinanza e dell’economia responsabili”, prevede un distanziometro di 500 metri per punti di gioco da determinati luoghi sensibili (istituti scolastici, luoghi di culto, impianti sportivi, strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o sociosanitario, strutture ricettive per categorie protette, luoghi di aggregazione giovanile e oratori).

Nel 2017 la Giunta regionale (con delibera n. 831 del 12/6/2017) recante norme in materia di “Modalità applicative del divieto alle sale gioco e alle sale scommesse e alla nuova installazione di apparecchi per il gioco d’azzardo lecito” (modificata con deliberazione G.R. n. 68/2019) ha indicato il divieto non solo per le nuove aperture ma anche per le realtà preesistenti.  Inoltre, e questa è notoriamente una specificità della regione Emilia Romagna, è stato indicato ai comuni di procedere con le mappature in concreto e con le eventuali contestazioni.

Sulla base di tale presupposto il Comune di Riccione ha formulato una prima mappatura, per poi procedere con un’integrazione di tipologie di luoghi sensibili (deliberazioni n. 87 del 18/3/ 2018 e n. 200 del 21/6/ 2018, n. 200), avvalendosi di una facoltà indicata nella medesima normativa regionale (di cui all’art. 6, comma 2 quater L.R. n. 5/2013), giungendo ad approvare con il consiglio comunale la deliberazione n. 34 del 14/11/2018 recante il “Regolamento delle sale da gioco, installazione apparecchi da intrattenimento e giochi leciti. Prevenzione e contrasto delle patologie legate al gioco.”

L’effetto sostanzialmente espulsivo

Nella sentenza viene valutato il dato urbanistico della percentuale di interdizione determinata dal distanziometro.

Al riguardo viene citato il lavoro di verificazione depositato in giudizio dal ricorrente ed operato dal perito Arch. Fabbri nel giudizio, pure oggetto di commento in altra sede, innanzi al Tar Emilia Romagna avente ad oggetto lo stesso distanziometro di Riccione dal quale risulta inequivocabilmente che “le scelte urbanistiche combinate con l’introduzione dei limiti distanziometrici per l’esercizio delle sale giochi abbiano finito per avere ripercussioni sulla rilocalizzazione delle attività che, per effetto della detta “mappatura dei luoghi sensibili”, si sono ritrovate a distanza inferiore da quella di legge dai luoghi mappati, come accaduto per la ricorrente.

Inoltre, ed è quel che qui rileva, viene messo in evidenza il passaggio della sentenza impugnata in cui il Giudice “richiamando il proprio precedente sopra specificato, ha ritenuto sufficiente ad escludere detto effetto espulsivo l’esistenza di una pur minima parte del territorio comunale da destinare alla rilocalizzazione delle attività di gioco lecito”.

Al riguardo il Consiglio di Stato precisa che nella verificazione invece attivata nel giudizio in commento, tenuta dall’Ing. Vitillo, dapprima sono state individuate delle aree insediabili (“tenendo conto delle delibere di c.d. mappatura dei luoghi sensibili, le aree astrattamente destinabili alla localizzazione delle attività in contestazione sono pari al 5,8% del territorio urbanizzato ed al 3,5% del territorio comunale”) mentre successivamente sono state proposte percentuali ancor più ridotte per approfondimenti operati sulla tipologia di destinazione d’uso (“tenuto conto delle destinazioni (…), una volta esclusi gli ambiti urbanizzati nei quali non sono consentiti gli usi d2, d4 e d5, le aree utilizzabili si riducono allo 0,5% del territorio urbanizzato”) fino a considerare impossibile l’insediamento per una delle tipologie di insediamento (“in tali ultime aree è però consentito soltanto l’uso d2, mentre l’uso d4 è ammesso nelle unità edilizie già in essere alla data di adozione del RUE e con cambio d’uso in una sola zona (ASP1); l’uso d5 non è mai ammesso”).

Di qui la riportata conclusione del verificatore secondo cui “l’effettivo stato dei luoghi, per caratteristiche e consistenze insediative e di urbanizzazione, rende altamente improbabile la possibilità di localizzazione delle funzioni del gioco d’azzardo lecito”, con la precisazione che il distanziometro “comprime in maniera sostanziale e significativa le possibilità e le alternative delocalizzative delle funzioni del gioco d’azzardo lecito, determinando di fatto un effetto espulsivo dal mercato immobiliare urbano, in quanto l’applicazione del criterio della distanza dai luoghi sensibili comporta, per stato di diritto (strumentazione urbanistica) e stato di fatto (caratteristiche tipologico-funzionali e insediative) l’impossibilità pratica di delocalizzazione di tali attività”.

Peraltro, dai chiarimenti richiesti al verificatore risulta che la percentuale dello 0,5% sopra descritta aumenta al solo 1,7% (0,11% per il CT di parte) se non si considerano i luoghi sensibili aggiungi dal Comune a quelli regionali e che comunque per una tipologia di destinazione d’uso (la d5 delle sale bingo) comunque rimarrebbe impossibile una delocalizzazione.

Ma il dato che si vuole qui cristallizzare è quello secondo cui “è rimasto definitivamente accertato che per effetto della deliberazione impugnata n. 200/2018 la delocalizzazione sarebbe possibile solo nello 0,5% del territorio urbanizzato, con un effetto sostanzialmente espulsivo sia perché in tali modesti ambiti urbanizzati sarebbe consentito esclusivamente l’uso d2, mentre l’uso d4 è ammesso esclusivamente nelle unità edilizie già in essere e l’uso d5 non è mai ammesso, sia perché l’effettivo stato dei luoghi rende altamente improbabile la localizzazione delle funzioni del gioco d’azzardo lecito”.

Peraltro in un passaggio successivo della stessa sentenza viene chiarito che “non è condivisibile (…) che l’accertamento dell’esistenza anche di una pur minima disponibilità di aree idonee alla localizzazione di attività di gioco (…) nel territorio comunale sarebbe preclusivo del c.d. effetto espulsivo illegittimamente pregiudizievole degli interessi privati”.

Pienamente condivisibile è quindi questa visione sostanzialistica della valutazione da operare  finalmente formalizzata.

Quale la differenza tra effetto sostanzialmente espulsivo e marginalizzazione?

Tale apprezzabile evoluzione giurisprudenziale cozza, tuttavia, con il ragionamento subito successivo proposto dalla stessa sentenza, laddove si precisa che invece la percentuale dell’1,7% (quella calcolata non tenendo conto dei luoghi sensibili indicati dal comune in aggiunta a quelli regionali, peraltro benché associata ad un’impossibilità assoluta per le sale bingo) qualificherebbe l’effetto non come espulsivo ma meramente “marginalizzante”.

Il passaggio in cui ciò viene rappresentato è il seguente: “Se invece si considerasse soltanto la prima delibera (n. 87 del 2018), quindi escludendo i “luoghi sensibili” mappati con la seconda (n. 200 del 2018) come da relazione supplementare, si avrebbe un incremento della disponibilità di aree potenzialmente utili fino alla percentuale dell’1,7% del territorio urbanizzato, tanto che il verificatore ha concluso che, solo in tale eventualità, si potrebbe ritenere un “effetto di marginalizzazione” piuttosto che un “effetto espulsivo” delle attività in contestazione” .

Ebbene, se il principio da applicare, pure declinato nella sentenza, è quello della verifica della proporzionalità, non si comprende come si possa ritenere non proporzionato lo 0,5% e proporzionato l’1,7%.   1,7% che individua spazi peraltro tutti da verificare in concreto se disponibili alla locazione o all’acquisto.

Si ha il dubbio che lo sforzo di legittimare una percentuale come l’1,7%, qualificandola come meramente marginalizzante, risponda in realtà all’esigenza dichiarata di non mettere in discussione il contrasto dei parametri urbanistici della norma regionale rispetto ai diversi profili costituzionali impattati (“Non è in discussione la conformità a Costituzione, in specie all’art. 41, comma 2, della legislazione regionale sulle distanze delle sale giochi dai luoghi c.d. sensibili (cfr. Cons. Stato, V, 4 dicembre 2019, n. 8298)”).

Peraltro, ed è la cosa più importante, si dimentica che la marginalizzazione e la ghettizzazione del gioco rappresentano per la comunità scientifica dei volani per lo sviluppo dei problemi e delle patologie di gioco d’azzardo.

Vanno tutelate solo le realtà preesistenti?

Stupisce poi un altro passaggio della sentenza.

Dopo avere precisato che “la questione controversa attiene (…) agli effetti delle misure (…) ed all’idoneità di queste a realizzare un equo contemperamento tra gli interessi pubblici e privati coinvolti, onde evitare che si determini l’ablazione di diritti acquisiti in forza di titoli autorizzatori legittimi”, giustamente la sentenza chiarisce di non condividere il principio del giudice di primo grado, secondo cui occorre bollare come non espulsivo (e dunque occorre legittimare) un distanziometro che presenti una sia pure minima percentuale di insediabilità.

Quel che stupisce di questo ulteriore passaggio è che poi venga precisato che invece sarebbe giusto considerare legittimo un distanziometro con minime percentuali di insediamento, ove si tratti di valutare l’impatto per nuovi insediamenti: “Invero, se questa affermazione [i.e. secondo cui è meramente marginalizzante e quindi legittimo un distanziometro che presenti una sia pure minima percentuale di insediabilità] è accettabile con riguardo all’installazione di nuove attività imprenditoriali, per contro il giudizio relativo alla stretta necessità e, soprattutto, all’adeguatezza della misura distanziometrica va differenziato quando questa è applicata alle attività imprenditoriali esistenti (come di recente affermato dalla Sezione in sentenze riguardanti la legislazione della Regione Emilia Romagna: cfr. Cons. Stato, V, 28 dicembre 2022, n. 11426 e id., V, 16 dicembre 2022, n. 11036)”.

Ferma restando l’importanza strategica delle realtà preesistenti e senza nulla togliere ai rispettivi diritti, non v’è chi non veda che l’equo contemperamento degli interessi sia principio generale, astratto e pacificamente applicabile erga omnes, da tenere in considerazione anche laddove si valutino gli effetti dei distanziometri sulle nuove installazioni che a loro volta vedono pregiudicato il diritto di esercitare l’attività, peraltro con possibili squilibri concorrenziali tanto cari anche in sede unionale.

Conclusioni

Il descritto tema giurisprudenziale innovativo che formalizza la tanto declamata necessità di una valutazione sostanzialistica della natura espulsiva del distanziometro certamente rappresenta un passaggio in avanti nel percorso di accertamento giudiziale dell’illegittimità dei parametri urbanistici dettati dagli enti del territorio.

Ma lo sforzo da fare è ancora importante per vedere superato l’imbarazzo paralizzante che si palesa nelle affermazioni relative ad asserite differenziazioni tra “effetti sostanzialmente espulsivi” e “effetti marginalizzanti”, con relative presunte definizioni legate a percentuali comunque sempre minime, ovvero a diversi metodi di valutazione da operare tra realtà preesistenti e nuove installazioni, malgrado oggi si parli sempre di concorrenza.

E lo sforzo è ancora grande anche perché ancora una volta è stata fatta una scelta di censurare il distanziometro di un comune e di non sottoporre la questione del distanziometro regionale alla Corte Costituzionale.

Geronimo Cardia



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