Giochi pubblici, la proposta di Geronimo Cardia al governo giallorosso (Lo Speciale)

20.09.2019

Lo Speciale intervista Geronimo Cardia 

Il nuovo governo che atteggiamento assumerà nei confronti delle politiche legate al gioco? Se il precedente esecutivo aveva una posizione ai limiti del proibizionismo, il nuovo sembra interessato a conciliare in maniera intelligente il diritto al gioco con l’esigenza di prevenire e contrastare il rischio delle patologie e delle dipendenze. Ne è convinto l’avvocato Geronimo Cardia, consulente legale di diverse associazioni di categoria del settore e dal 2018 presidente dell’Acadi, Associazione dei concessionari dei giochi pubblici. Proprio con lui abbiamo cercato di fare il punto della situazione.

C’è chi auspica con il nuovo governo un cambio di passo per ciò che riguarda le politiche sui giochi pubblici. Ci sarà davvero e quale tipo di approccio attendersi?

“Iniziamo con il dire che nel contratto di governo che regolava l’azione del precedente esecutivo gialloverde, c’erano diversi punti che trovavano la vecchia maggioranza in disaccordo. Ora invece ci hanno spiegato che la nuova compagine cosiddetta giallorossa ha un programma composto da una serie di punti pienamente condivisi, frutto evidentemente di una maggiore concertazione e di una valutazione più approfondita sui vari argomenti. Fra questi punti c’è un principio in particolare che merita di essere evidenziato, ovvero il “contrasto al gioco patologico”.

Cosa si intende in particolare?

“Il contrasto al disturbo da gioco d’azzardo in realtà inserisce nel perimetro della lotta non soltanto le situazioni patologiche richiamate nel programma di Governo ma anche quelle problematiche che potrebbero diventarlo, alzando quindi il livello dell’attenzione nei confronti dell’utente. Questo principio non soltanto è importante e condivisibile, ma rappresenta proprio la ragion d’essere e la prerogativa del sistema concessorio del gioco pubblico. Questo perché, tutti gli operatori del comparto che abbiamo anche sul territorio, sono sì di natura privatistica ma hanno una investitura pubblicistica. Sono soggetti che a ben vedere attuano delle politiche sanitarie fiscali. Ogni tipo di gioco che ci viene offerto è misurato e previsto dalla legge e chi lo gestisce è concepito dallo Stato come soggetto affidabile in grado di garantire il rispetto delle norme e anche la salvaguardia di chi gioca”.

Come potrà essere però declinato questo principio attraverso l’azione pratica di governo?

“Il discorso in questo caso diventa più complesso, ma dovrebbe essere chiaro il modo di agire. Innanzitutto occorre un processo di informazione e maturazione della domanda di gioco, sempre a tutela dell’utente. Della sua salute e del suo risparmio. Tenga conto che il giocatore patologico rappresenta un problema, in primo luogo per il sistema sanitario nazionale, ma anche per lo Stato e per gli operatori del settore. Fino a quando l’utente non avrà consapevolezza che il gioco è una forma di intrattenimento, ci sarà sempre il rischio di sollecitare le patologie legate al disturbo. Quindi l’informazione, che già si fa, deve essere migliorata per rendere sempre più matura la consapevolezza della domanda. Ovviamente l’informazione da sola non può bastare, mi sembra ovvio”.

Quindi, che altro occorre?

“Servono prevenzione e cura. In Italia ci sono già le strutture sanitarie che operano in questo settore e che sono parte del servizio sanitario nazionale. Se è vero che il gioco d’azzardo è stato oggetto di regolamentazione negli ultimi diciotto anni, la domanda è se sia stato fatto un vero processo  di maturazione dei sistemi di prevenzione e cura. Questo lo si può fare sia investendo nel potenziamento delle strutture sanitarie – attraverso il riversamento nella sanità regionale di parte delle imposte generate dal gioco pubblico maturato sui terriotri ma senza aumentare ulteriormente la tassazione giunta notoriamente a ilmiti insopportanbili -, sia utilizzando i moderni strumenti messi a disposizione dalla tecnologia, fondamentali per esempio per rendere ancor più certo l’accesso al gioco per i minorenni, con la tessera sanitaria già imposta dalla legge. Importante poi il registro delle autoesclusioni, accessibile anche ai familiari dei giocatori problematici. Se io mi accorgo che sto assumendo un problema di dipendenza mi sospendo dal gioco, e possono sospendermi anche i miei familiari, iscrivendomi nel registro. Lo spirito di tutte queste proposte dovrebbe essere quello di arginare le patologie e nel contempo stabilizzare le entrate per lo Stato derivanti dal gioco”.

L’obiezione che viene fatta è che gli operatori del settore alla fine hanno tutto l’interesse a che l’utente giochi, indipendentemente dal fatto che possa maturare una patologia. Come risponde?

“Che è falso. Gli operatori non hanno nessun interesse a che si giochi senza limiti. Loro hanno bisogno più di altri di normalità, stabilità, regolarità, per attuare quelle politiche utili a migliorare il servizio proprio attraverso la prevenzione dei rischi. Come è fondamentale poi lavorare sulla domanda, è altrettanto importante lavorare sull’offerta”.

In che modo?

“Formando adeguatamente, oltre agli utenti, anche gli operatori del settore concessorio che già oggi sono selezionati con una gara. Ci sono controlli a livello di capacità tecnologica, capacità economica, capacità di gestione del gioco, di sicurezza in termini di estraneità alla criminalità. Si può fare di più soprattutto fornendo competenze tecnologiche, sempre più avanzate per aumentare la capacità di presidiare le varie forme di gioco. Gli operatori sono poi quelli che mettono i soldi e hanno bisogno di stabilità”.

E come si garantisce?

“Con un riordino del settore. Ci sono diverse proposte di legge ferme in Parlamento. In questi anni le regioni hanno tentato di mettere mano al problema delle patologie da gioco con strumenti che si sono però rivelati inefficaci o viziati da errori tecnici come i famosi distanziometri espulsivi. E’ stato stabilito che i punti di gioco devono stare ad una distanza minina di almeno 500 metri da luoghi definiti sensibili come scuole, chiese, ospedali, parchi ecc. Ma lei capisce bene che in una città i luoghi sensibili sono così tanti da vietare la sostanziale totalità dei territori costringendo gli operatori ad installare punti di gioco ai margini, nelle periferie. Questo sa che significa?”

Cosa?

“Abbandonare le città alla criminalità organizzata che va a riempire il territorio di prodotti similari ed accattivanti. Capisce bene che questo non permette di prevenire, né di contrastare, il rischio della patologia anche perché un giocatore compulsivo pur di giocare è pronto anche a percorrere 50 km. Con il rischio inoltre di invadere le periferie di punti di gioco tali da sollecitare ancora di più le persone che vi abitano e che sono molto di più di quelle che popolano i centri. A questo punto sorge spontanea la domanda; vogliamo valorizzare le nostre periferie o vogliamo utilizzarle soltanto per trasferirci tutto ciò che non vogliamo vedere nei centri urbani?”.

Qual è dunque la soluzione?

“Rivedere la politica dei distanziometri che espellendo i punti di gioco pubblico nelle città non curano, non prevengono, mettono a rischio migliaia di posti di lavoro oltre che gli introiti per lo Stato. Sette regioni hanno capito che questo sistema non funziona e hanno attuato una revisione, rimoludando i distanzionetri per renderli sostenibili. In Puglia per esempio ne hanno addirittura sospeso per sei mesi l’applicazione e dopo varie valutazioni tecniche hanno abbassato la distanza a 250 metri, diminuendo anche il numero dei luoghi sensibili. Anche in Liguria i distanziometri sono stati sospesi in attesa di un riordino nazionale. Il nuovo governo è perfettamente a conoscenza di tutte queste problematiche, quindi speriamo vi metta mano in modo serio e risolutivo”.

 

 



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