16 Gen Le limitazioni di orari difese dalla giurisprudenza. Ma c’è piena consapevolezza degli obiettivi, dell’efficacia e dei risultati prodotti da queste misure? GERONIMO CARDIA, JAMMA – gennaio 2025
In materia di limitazioni di orari di funzionamento del gioco, la giurisprudenza, da un lato, ricorda i principi di proporzionalità e di verifica della presenza di un’adeguata istruttoria aderente alle esigenze dei territori specificamente interessati, dall’altro, però all’atto pratico finisce spesso per concludere che la tutela della salute prevale sull’iniziativa privata. La questione in realtà è mal posta in quanto ciò che gli operatori mettono sul tavolo da anni non è la tutela dell’interesse privatistico, che pure rappresentano, ma la più ampia tematica, da un lato, dell’inidoneità delle misure impugnate a produrre risultati in termini di contrasto al disturbo da gioco d’azzardo e, dall’altro, della loro capacità di determinare effetti collaterali nefasti ed indesiderati su altri interessi pubblici, non privatistici.
Cliccando qui puoi scaricare il PDF del documento
Premessa
In questo caso prendiamo in considerazioni le motivazioni della sentenza della Sezione Quinta del Consiglio di Stato dell’11/9/2024 numero 7532/2024 resa nel procedimento n. 39/2024 che ha previsto il rigetto delle richieste di un operatore del gioco in merito all’impugnazione dell’ordinanza di un comune del Veneto che il 30/12/2019 ha dettato la disciplina degli orari di disattivazione degli apparecchi, peraltro più stringenti rispetto a quelli previsti dall’articolo 8 della legge della Regione Veneto n. 38 del 2019.
Per i Giudici l’Intesa del 2017 non è applicabile perché non attuata, la legge regionale è successiva all’ordinanza e comunque il Comune può inasprire i divieti
Per i Giudici non si porrebbe anzitutto un tema di contrasto con l’Intesa Stato/Regioni per la mancanza del decreto attuativo del Mef.
Al riguardo, va rilevato che nella sentenza non si tiene conto di altro e diverso orientamento giurisprudenziale che invece ritiene vincolanti i principi dell’Intesa, a prescindere dalla mancanza del pure richiesto suo decreto attuativo. In questi casi sarebbe necessario poter valutare le ragioni specifiche che hanno indotto a ritenere condivisibile un orientamento giurisprudenziale, piuttosto che un altro, entrando nel merito delle diverse argomentazioni a sostegno dell’una e dell’altra tesi.
Inoltre, per i Giudici non si porrebbe un tema di contrasto con la legge regionale perché l’ordinanza sarebbe di pochi giorni precedente rispetto alla data di entrata in vigore della legge regionale.
Sul punto, tuttavia, il dato che emerge è che la notazione richiederebbe altresì un approfondimento della necessaria valutazione del principio della gerarchia delle fonti.
Per questo, successivamente nella sentenza viene precisato che a prescindere da questo, “occorre focalizzare l’attenzione su una previsione (…) che, con riguardo alle fasce orarie (…) fa divieto ai Comuni di derogarvi mediante la previsione della possibilità di accensione degli apparecchi ma, allo stesso tempo, aggiunge quanto di seguito: “I Comuni possono, invece, aggiungere alle predette fasce di interruzione anche ulteriori fasce orarie di chiusura, anche in relazione alla situazione locale”. Di conseguenza (…) ben avrebbe potuto il Comune (…) fissare limiti più stringenti di quelli individuati dalla Giunta regionale, per espressa autorizzazione di quest’ultima”.
L’invocata maggior tutela sanitaria
In questa come in altre sentenze, con il comprensibile e condivisibile intento di dare tutela sanitaria agli utenti, si richiama, oltre a quanto sopra (potere del Comune di aggiungere e non ridurre le fasce orarie), un principio dell’Intesa (questo sì, però) secondo cui “Le disposizioni specifiche in materia, previste in ogni Regione o Provincia autonoma, se prevedono una tutela maggiore, continueranno comunque ad esplicare la loro efficacia”
Qui bisogna uscire da un fraintendimento.
Nessuno vuole ridurre la tutela sanitaria. Qui si vuole uscire dalle suggestive ricostruzioni di una parte della politica secondo cui aumentare il numero delle ore di interdizione di funzionamento fino ad impedire l’erogazione del servizio significherebbe di per sé assicurare maggiore tutela sanitaria agli utenti.
Così non è.
Ciò in quanto per dare una maggiore tutela sanitaria in realtà si dovrebbero prevedere misure (diverse dalle limitazioni di orari tra l’altro) che in concreto la assicurino, con risultati concreti verificabili e da verificare anche a posteriori.
In questo caso, i risultati dati nel tempo, in pendenza dell’applicazione delle misure sugli orari applicati agli apparecchi, dicono che la spesa degli utenti, la spesa complessiva e relativi a tutti i giochi sia invece aumentata. E’ diminuita solo la spesa degli utenti con gli apparecchi distribuiti sui territori. Di qui le riflessioni sul noto effetto di mero riversamento ed aumento.
Quindi un provvedimento che inasprisce il divieto solo per gli apparecchi e che determina questi effetti non può affatto essere considerato un provvedimento che da tutela all’utente. Non può non vedersi che l’effetto determinato è solo quello di mettere nelle condizioni l’utente di semplicemente fare altre scelte su altre offerte. Men che meno può essere considerato un provvedimento di “maggior” tutela.
Le istruttorie da fare
La giurisprudenza giustamente chiede siano fatte le istruttorie adeguate.
Nel caso di specie, tuttavia i Giudici hanno ritenuto che vi sia stata un’istruttoria adeguata sul territorio di riferimento dalla quale sarebbe emersa la necessità di limiti più stringenti, ed in particolare per gli apparecchi, solo perché nell’ordinanza vi sarebbe il richiamo di “un rapporto della ULSS (…), in merito alla diffusione della ludopatia, oltre all’indirizzo espresso dai Sindaci del “Distretto (…): documenti, questi, che testimoniano, quantomeno, l’avvio di un’indagine sul territorio”.
Ebbene, sul punto va anzitutto chiarito che non può essere ritenuto sufficiente anche solo un mero avvio di indagine. Vi è infatti ampia giurisprudenza che ricorda l’importanza della contestualità e della completezza degli atti finalizzati ad avere la consapevolezza dell’esigenza di procedere e dell’idoneità delle misure da avere al momento del concepimento dell’ordinanza, non dopo.
E poi è proprio questo il punto da cui i Giudici dovrebbero partire per essere in grado di farsi il giusto convincimento sull’adeguatezza dell’istruttoria e quindi sull’effettiva idoneità delle misure disciplinate o quantomeno su una prevedibile idoneità delle stesse a contrastare il disturbo da gioco d’azzardo.
E’ in questa fase che occorre chiedersi se la misura imposta sia stata ben valutata dal legislatore locale. E’ qui che occorre interrogarsi su come la misura sia stata strutturata: il provvedimento comunale prevede i divieti per un solo tipo di gioco, quello degli apparecchi distribuiti sul territorio. Quindi l’istruttoria, per avere un minimo di credibilità, è bene che tenga conto di questo aspetto, da un lato, così come della complessità e dell’ampiezza dell’offerta di prodotti di gioco che sono a disposizione degli utenti, dall’altro. Diversamente si continuerebbe a difendere giusti principi (contrastare il DGA) ma con strumenti sbagliati (divieti disordinati), determinando effetti controproducenti (maggiore spesa degli utenti, oltre agli effetti collaterali indesiderati di interesse pubblico come la perdita di gettito erariale e di presidio di legalità, per non parlare della perdita di occupazione).
Questo non significa che i divieti debbano essere estesi a tutti i tipi di gioco, ma impone di fare una riflessione sul fatto se imporli solo ad un tipo di gioco determini quegli obiettivi di tutela, o meglio ancora di maggiore tutela richiesti dalla norma regionale. E la risposta è no.
Conclusioni
Anche su questi argomenti si fonda la cosiddetta Questione Territoriale, così come si posano alcuni dei tanti cortocircuiti istituzionali che non riescono a consentire alla regolamentazione di dotarsi di misure che veramente tutelino l’utente. Nel libro “Il gioco pubblico in Italia: riordino, questione territoriale e cortocircuiti istituzionali” proviamo a ricordare alcuni degli strumenti che sono a disposizione per uscire dall’impasse.
Geronimo Cardia