Bisogna superare gli equivoci di fondo, senza ipocrisie. Le fasce orarie comunali, che impongono agli apparecchi 17 ore di divieto al giorno, sono utili da un punto di vista sanitario? Rispettano il principio di proporzionalità? Non violano l’Intesa del 2017? GERONIMO CARDIA, JAMMA – dicembre 2024

Si tratta di un altro corto circuito, registrato questa volta in giurisprudenza, in merito ai divieti di fasce orarie giornaliere che portano a 17 su 24 le ore di interdizione della distribuzione degli apparecchi sul territorio. La sentenza analizzata è un pretesto per affrontare il tema articolato che riguarda diversi Comuni, non solo quello di Venezia del caso specifico. Anche Varese e Busto Arsizio che hanno da poco previsto 18 ore di divieto per i soli apparecchi. Il caso esaminato dimostra l’esistenza di una convinzione di fondo di ritenere siffatte misure idonee a tutelare la salute degli utenti. Ma come dicono gli esperti in materia sanitaria e dimostrano i numeri, così non è. Occorre superare i pregiudizi, chiarire gli equivoci affrontando senza ipocrisie le questioni di fondo e mettere a terra i giusti strumenti per contrastare il disturbo da gioco d’azzardo. In definitiva si impone una soluzione o in sede di Tavolo Tecnico o in sede giudiziale: è un diritto non degli operatori ma degli utenti.

 

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Premessa

Si tratta della sentenza della V Sezione del Consiglio di Stato del 4/4/2024 resa nel procedimento n. 1849/2022.  La questione è relativa all’impugnazione dell’atto del Comune di Venezia con cui, a seguito del provvedimento regionale che ha recepito gli esiti dell’Intesa del 2017 in materia di orari, è stato confermato che il combinato disposto degli orari regionali indicati e degli orari posti dal precedente regolamento comunale porta alla nuova definizione per gli apparecchi di un nuovo regime: due fasce orarie di funzionamento (dalle 09:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 18:00), dunque un totale di sette ore di funzionamento ed un conseguente divieto di diciassette.

Queste considerazioni valgono non solo per il territorio del comune interessato, ma anche per tutti quei territori come Varese e Busto Arsizio che stanno ragionando nei medesimi termini, se non addirittura in modo peggiore con divieti di diciotto ore.

 

Un divieto di 17 ore è veramente proporzionato?

Per i Giudici la misura andrebbe bene e sarebbe proporzionata. Per due ragioni.

La prima è che si tratta di una misura che “in potenza [è] capace di conseguire l’obiettivo: mediante la riduzione degli orari è ridotta l’offerta di gioco” e che le riduzioni sono funzionali alla diminuzione se non azzeramento del rischio della salute.

Ma qui non si considera che la riduzione interessa solo una tipologia di gioco. Dunque, se fosse corretta l’equazione proposta, e non è detto che lo sia, il risultato sarebbe sbagliato, perché, come dimostrano i dati, mentre la spesa degli apparecchi sui territori cala, l’offerta complessiva di tutte le tipologie dei giochi aumenta. Quindi c’è qualcosa che non va nella misura.

La seconda è che il divieto si presenterebbe come proporzionato perché “la scelta effettuata dal Comune nel 2016 di limitazione del gioco per 15,5 ore giornaliere, e funzionamento delle apparecchiature per le restanti 8,5, (…), impone(va) un sacrificio [non] eccessivo per i privati rispetto allo scopo perseguito” in quanto “questa Sezione ha ritenuto rispettoso del principio di proporzionalità il contenimento dell’orario di apertura di una sala giochi entro il limite delle otto ore giornaliere”.

Peccato però che il divieto complessivo in discussione non è più di 15,5 ore, ma di 17 e che quindi l’orario di apertura non sia più di 8,5 ore (superiore ad otto come indicato nei precedenti orientamenti) ma di 7.

E ciò per effetto del già richiamato combinato disposto tra la novazione regionale (per l’Intesa Stato Regioni raggiunta) ed il precedente regolamento comunale cristallizzato nell’impugnato provvedimento, che ha portato come detto il divieto complessivo a 17 ore al giorno.

Peccato ancora che però i Giudici hanno ritenuto di non potersi pronunciare su questo perché il “combinato disposto” sarebbe un mero combinato disposto, non avrebbe portata novativa e pertanto non potrebbe essere valutato in sede giudiziale.

Tuttavia è chiaro che in realtà non è così. Se il combinato disposto avesse portato ad un risultato di divieto di 24 ore, la sproporzione sarebbe stata oggettivamente identificabile ed a seguito di istruttoria si sarebbe posto rimedio con un diverso orario di divieto. Analogamente, nel caso di specie, un ragionamento sulla congruità del nuovo risultato l’Amministrazione comunale certamente lo ha operato e lo ha effettuato nel corso di uno specifico procedimento, ritenendo congruo, efficace e ragionevole il nuovo divieto di 17 ore. Peraltro ciò è avvenuto senza neanche una pure richiesta adeguata istruttoria per i profili sanitari. A tale nuovo divieto dunque il Comune affida efficacia vincolante con il provvedimento impugnato che assume quell’efficacia amministrativa che si richiede per meritarsi una valutazione.

Spetta alle associazioni di categoria dare un giudizio sulla proporzionalità della misura?

E’ interessante un passaggio della sentenza che si riporta: “l’entrata in vigore della delibera di giunta regionale (…) avrebbe dovuto semmai comportare un’azione propulsiva a livello politico anche da parte delle associazioni di categoria, al fine eventualmente di (…) mantenere l’interruzione del gioco nel limite già previsto dal regolamento comunale di 15,5, ore”. Come a dire che la Sentenza non può pronunciarsi sulla proporzionalità del divieto di 17 ore ma che il lavoro di chiede politicamente di contenerlo a 15.5 avrebbero potuto farlo le associazioni di categoria.   Ora al di là di ogni commento su questo specifico passaggio, si ritiene che si sia persa per quanto detto nel paragrafo precedente la possibilità di fare chiarezza sulla legittimità del nuovo ed imponente limite di orari di funzionamento degli apparecchi, in un giudizio così importante in cui poi sono state anche compensate le spese.

 

Un divieto di orari di 17 ore per gli apparecchi tutela la salute degli utenti?

Per i Giudici sì: “La previsione di una limitazione oraria mira (…) inequivocabilmente a contrastare il fenomeno della ludopatia, inteso come disturbo psichico che induce l’individuo a concentrare ogni suo interesse sul gioco, in maniera ossessiva e compulsiva, con ovvie ricadute sul piano familiare e professionale, nonché con l’innegabile dispersione del patrimonio personale”.

Tuttavia come esplicitato più volte qui ci sono non uno ma tanti equivoci di fondo.

Anzitutto le limitazioni di orari non sono riconosciute dalla comunità scientifica come un rimedio efficacie per contrastare il DGA: l’interruzione senza un’adeguata messaggistica non previene, e non cura ma piuttosto mette benzina alla compulsività. E su questo sono diversi gli studi scientifici prodotti che nei giudizi non vengono sistematicamente analizzati né posti al centro di un dibattito tecnico sanitario serio ed in contraddittorio, per esempio in sede di CTU.

Poi vi è il tema verificabile più semplicemente, anche dai non tecnici delle materie sanitarie, secondo cui queste misure sono imposte solo agli apparecchi installati sui territori. Questo significa che l’effetto prodotto da queste misure è semmai quello dello spostamento del problema da un gioco ad un altro (perché ormai non solo gli addetti ai lavori sanno che l’offerta di gioco è fatta di tanti prodotti di gioco, senza considerare l’illegalità o le offerte dei Paesi stranieri per i comuni confinanti come Varese) o da un canale distributivo all’altro (territorio ed online). Dunque nessuna prevenzione, nessuna cura, nessun obiettivo raggiunto rispetto a quelli posti dalle ordinanze comunali.

Infine, siffatte misure si rinvengono disordinatamente sui territori da oltre 10 anni. Ebbene i dati della spesa degli utenti registrati nel tempo dicono chiaramente che a fronte della diminuzione della spesa con gli apparecchi, sono aumentate le spese per le altre tipologie di gioco sui territori e per i medesimi giochi ma distribuiti sull’on line. Dunque, anche in questo caso deve registrarsi nessuna prevenzione, nessuna cura, nessun obiettivo raggiunto rispetto a quelli posti.

 

Conclusioni

Continuare a difendere siffatte misure, inadeguate e controproducenti, non significa fare un torto agli operatori del settore, qualificati nella sentenza come “soggetti [che] mirano alla massimizzazione dei loro profitti, al fine di ottenere la remunerazione dei loro investimenti economici, attraverso la più ampia durata giornaliera dell’apertura dell’esercizio (…)”.

Ma significa anzitutto fare un torto agli utenti che non ricevono dalle norme di prevenzione stabilite un’adeguata tutela sanitaria.

E se può essere di interesse può arrivare a significare di fare un torto all’interesse costituzionale della legalità, pregiudicando i necessari presidi dei territori dati con l’offerta pubblica degli operatori, che oltre a massimizzare i profitti sono per questo incaricati di pubblico servizio. E può arrivare a significare di fare un torto all’interesse costituzionale del gettito erariale, che lo si ricorda è da emersione, ossia di un’economia che, se non vi fosse lo Stato (con gli operatori appunto) a gestirla, sarebbe sommersa.

Se non fosse così, in questi anni non vi sarebbe tutta questa insistenza per un’intesa tra Stato e Regioni per risolvere la questione territoriale di cui parlo nel libro edito da Giappichelli “Il gioco pubblico in Italia: riordino, questione territoriale e cortocircuiti istituzionali”. E non vi sarebbe in questi giorni tutta questa insistenza parte dello Stato nelle sue articolazioni del Mef e dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli al Tavolo Tecnico con Regioni e Comuni a cui stanno partecipando anche i Ministeri dell’Interno della Salute.

Di tali aspetti si deve tenere conto anche e soprattutto nell’attualità che si vive sui territori, laddove ad esempio sia Varese che Busto Arsizio stanno dimostrando di ritenere ancora che vietare 18 ore al giorno la distruzione dei soli apparecchi significhi fare un giusto lavoro per la salute degli utenti e dei cittadini.

Dunque, urge una soluzione o in sede di Tavolo Tecnico o in sede giudiziale: è un diritto non solo degli operatori ma prima ancora degli utenti quello di essere trattati senza ipocrisie.

Geronimo Cardia



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