La scelta della tipologia dei luoghi sensibili è uno dei temi centrali del dibattito sul riordino del comparto gioco pubblico distribuito si territori. Lo trattiamo anche nel libro appena pubblicato “Il gioco pubblico in Italia: riordino, questione territoriale e cortocircuiti istituzionali”. (Pressgiochi maggio – giugno 2024)

In questo articolo prendiamo lo spunto da un nuovo cortocircuito emerso in giurisprudenza in materia di distanziometri espulsivi, per evidenziare, ammesso che si intenda seguire la via del distanziometro, quanto sia importante in sede di riordino compiere una scelta oculata delle tipologie di luoghi, in modo che esse siano effettivamente “sensibili”. Ciò che va evitato è di indicare tipologie di luoghi non utili allo scopo di contrastare il disturbo da gioco d’azzardo e che, dunque, si rendano inutilmente vietate zone insediabili, così determinando l’espulsione dei presidi di Stato. Diversamente la misura risulterebbe non solo non utile allo scopo, ma anche contraria ad esso e causativa di quell’insostenibilità che da anni tiene sotto scacco lo svolgimento delle gare. Questo, come gli altri aspetti centrali del dibattito in corso, è trattato nel volume “Il gioco pubblico in Italia: riordino, questione territoriale e cortocircuiti istituzionali” appena pubblicato, con più di 70 tavole urbanistiche scaricabili in alta definizione.

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Premessa
Il Consiglio di Stato con la sentenza numero 3127/2024 del 5/04/2024 riferita al ricorso RG 1915/2023 ha ribaltato la valutazione operata dal Tar Lazio nella sentenza numero 14290/2022 del 2/11/2022 riferita al ricorso RG 11333/2022, così stabilendo che una “scuola di infanzia” debba essere annoverata tra le tipologie di luoghi sensibili da cui i punti di gioco devono rimanere distanti.

Motivazioni di diritto
In particolare, il Tar aveva accolto l’unico motivo di ricorso proposto dal ricorrente il quale aveva motivato l’esclusione della tipologia della scuola di infanzia con le seguenti motivazioni:
(i) “le scuole dell’infanzia non rientrano nella categoria giuridica degli “istituti scolastici di qualsiasi ordine e grado …” in quanto ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. e), [della legge n 53/2003], la scuola dell’infanzia “concorre all’educazione e allo sviluppo affettivo … promuovendone le potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento, e ad assicurare un’effettiva eguaglianza delle opportunità educative … contribuisce alla formazione integrale … realizza la continuità educativa con il complesso dei servizi all’infanzia e con la scuola primaria”;
(ii) “le scuole dell’infanzia sono quindi istituiti di formazione e non già di istruzione ai sensi della disciplina recata dalla legge n 53/2003”;
(iii) “l’esercizio commerciale di parte ricorrente non si trova, allo stato, ad una distanza inferiore a 500 rispetto ad un “luogo sensibile”.

Il Consiglio di Stato, dal canto suo, ha ribaltato la motivazione con le seguenti motivazioni:
(i) “In senso contrario questa sezione ha osservato che “la scuola per l’infanzia ai sensi degli artt. 1-3 del d. lgs. 19 febbraio 2004 n. 59 vada qualificata a semplice lettura come istituto scolastico, anche se non ne è obbligatoria la frequenza, dato che la legge si preoccupa di fissarne le finalità, di assicurare che essa proponga un’offerta formativa uniforme sul territorio nazionale, di definirne l’orario e di assicurare nel suo ambito il conseguimento di “obiettivi formativi”, come è caratteristico in generale di qualunque istituto dedicato all’istruzione”: così espressamente l’ord. 26 giugno 2023 n.2612”;
(ii) “L’art. 1 del d. lgs. n. 59 del 2004, tra le finalità della scuola dell’infanzia, indica, in particolare, al comma 1, anche quello di assicurare: “la continuità educativa con il complesso dei servizi all’infanzia e con la scuola primaria.” a conferma del fatto che la scuola dell’infanzia pur “nella sua autonomia e unitarietà didattica e pedagogica” è parte integrante del sistema di istruzione nazionale”;
(iii) “Nello stesso senso depone il successivo articolo 3, comma 2, dove si legge che: “Nell’esercizio dell’autonomia delle istituzioni scolastiche sotto attuate opportune forme di coordinamento didattico, anche per assicurare il raccordo in continuità con il complesso dei servizi all’infanzia e con la scuola primaria”, dove il riferimento al “coordinamento didattico” ribadisce che, accanto agli obiettivi formativi, ve ne sono altri di natura più strettamente didattica, sebbene di carattere propedeutico alla scuola primaria, come ulteriormente confermato dall’art. 4, comma 2, a mente del quale: “La scuola primaria, della durata di cinque anni, è articolata in un primo anno, raccordato con la scuola dell’infanzia e teso al raggiungimento delle strumentalità di base, e in due periodi didattici biennali.” come pure, dal punto di vista organizzativo, dall’art. 4, comma 6 secondo cui: “Le scuole statali appartenenti al primo ciclo possono essere aggregate tra loro in istituti comprensivi anche comprendenti le scuole dell’infanzia esistenti sullo stesso territorio”;
(iv) “In mancanza di prospettazioni difensive di segno diverso, non v’è motivo per discostarsi dal precedente di cui sopra – favorevole a ricomprendere tra gli istituti scolastici anche le scuole dell’infanzia – che, pertanto, dev’essere confermato”.

Valutazioni di sostanza
In questi giorni in cui è acceso il dibattito sul riordino del comparto del gioco distribuito sui territori è più che mai lecito andare oltre al dato strettamente giuridico della mera interpretazione del testo normativo cristallizzato nel testo della Legge Regionale. In questa fase non si possono omettere delle valutazioni di sostanza.
Occorre chiedersi, infatti, se una scuola di infanzia rappresenti effettivamente un luogo dotato del requisito di essere “sensibile” ai fini che qui interessano.
Ed i fini che qui interessano sono quelli della tutela della salute dell’utente al fine di costruire un sistema di contrasto al disturbo da gioco d’azzardo.
Ammesso e non concesso che al distanziometro in sé possa riconoscersi una valenza di misura astrattamente idonea a esercitare il contrasto al DGA (cosa certamente non pacifica, anche per i numerosi studi scientifici che si sono pronunciati in tal senso) è evidente a tutti che non sia dimostrabile alcun legame tra la pretesa di mettere lontano un punto di gioco da una scuola di infanzia e l’obiettivo di contrastare il disturbo da gioco d’azzardo. Chi si metterebbe in protezione? I minori della scuola di infanzia (a cui peraltro è vietato l’accesso al gioco e che per età certamente hanno altri interessi)? I genitori che li accompagnano a scuola? Gli insegnanti? Che caratteristica avrebbero questi soggetti rispetto ad altri per qualificare come “sensibile” il punto? Nulla.
A stesse conclusioni potrebbe pervenirsi se poi si accedesse all’altra forma di tutela che ogni tanto si sente ricordare: quella della tutela delle fasce deboli. Minori della scuola d’infanzia, genitori che li accompagnano, insegnati, rappresentano notoriamente fasce deboli? Affatto.
Ed ancora a stesse conclusioni potrebbe pervenirsi se infine si accedesse all’ulteriore forma di tutela che ogni tanto si sente ricordare: quella del decoro. Per quale motivo si tutelerebbe il decoro di un comune mettendo un punto di gioco lontano da una scuola di infanzia? Che caratteristiche urbanistiche particolari presenterebbe l’area attorno ad una scuola di infanzia per doverla mettere in protezione dal presidio di gioco dello Stato? Nessuna.

Conclusioni
Questo analizzato potrebbe sembrare un dettaglio. In realtà si tratta di un caso veramente emblematico di cortocircuito istituzionale.
A ben vedere, infatti, esso consente di mettere in evidenza tutte le diverse valutazioni operate nel tentativo, sin ora vano, per giungere ad una regolamentazione matura, effettivamente tutelante per l’utente, sostenibile per il comparto e per lo Stato e che consenta il presidio pubblico di legalità dei territori.
Ed infatti, in queste poche battute riepilogative è stata messa in evidenza la verifica dell’effettiva natura (non) sensibile di un luogo, ma anche il dato letterale (incerto) previsto da una norma regionale, la diversa (rigida) interpretazione di questo operata dall’amministrazione comunale, le ancora differenti (e sostanzialistiche) valutazioni del Tar nonché le ulteriormente discordanti (ed espulsive) conclusioni del Consiglio di Stato.
In questo momento è quanto mai opportuno che si faccia chiarezza su basi solide e scientifiche su tanti aspetti della normativa di settore, per superare preconcetti, falsi miti e superficialità che negli ultimi 15 anni circa sono stati idonei a cambiare il volto al comparto. Se ciò non accadrà in questa fase storica incentrata sul riordino, il trend tracciato dalla serie storica dei dati numerici, e come tale sotto gli occhi di tutti, proseguirà inesorabilmente, sempre più velocemente.

Geronimo Cardia



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