Il Tar Emilia Romagna censura l’effetto espulsivo regionale, smentendo le valutazioni di uno dei periti del tribunale, pretendendo una verifica di insediabilità in concreto e non in astratto, peraltro responsabilizzando il Comune nella ricerca della verità. (Pressgiochi gennaio-febbraio 2024)

In questo articolo mettiamo in evidenza un’interessante recente pronuncia del Tar Emilia Romagna che ha di fatto censurato l’effetto espulsivo del distanziometro regionale. Nel farlo ha però dato la colpa al Comune di Riccione, senza così intaccare il precetto regionale, prendendo peraltro in parte le distanze da un giudizio di verificazione operato da uno dei periti nominati dal Consiglio di Stato, che invece aveva escluso l’effetto espulsivo ed aveva parlato di mera marginalizzazione. 

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Premessa

La sentenza della Sezione Prima del TAR Emilia Romagna numero 749/2023, resa in data 16/12/2023 nei giudizi 780/2019, 96/2020 e 3/2020, consente di fare alcune riflessioni avendo la stessa censurato l’effetto espulsivo dal Comune di Riccione determinato dal distanziometro regionale seguendo tuttavia un iter logico giuridico particolare.

Il distanziometro regionale

Il distanziometro regionale è quello stabilito dell’art. 6, comma 2-bis della L.R. n. 5/2013 che, per effetto della deliberazione G.R. n. 831 del 12 giugno 2017 “Modalità applicative del divieto alle sale gioco e alle sale scommesse e alla nuova installazione di apparecchi per il gioco d’azzardo lecito” (tenendo conto delle successive ex art. 48 L.R. 18/16 e deliberazione G.R. n. 68/2019) ha vietato non soltanto le nuove aperture di locali dedicati al gioco lecito ma anche imposto la delocalizzazione alle realtà preesistenti che si trovino a meno di 500 metri rispetto ad una lunga serie di tipologie di luoghi sensibili “ovvero gli istituti scolastici di ogni ordine e grado, i luoghi di culto, impianti sportivi, strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o sociosanitario, strutture ricettive per categorie protette, luoghi di aggregazione giovanile e oratori”.

In questo impianto normativo ai comuni è richiesto espressamente di operare la mappatura dei luoghi sensibili e di adottare i provvedimenti nei confronti degli operatori non in linea con la disposizione regionale.

Il punto controverso non è la vicinanza ad un luogo sensibile

Nei provvedimenti di chiusura emessi dal Comune la motivazione è legata all’esistenza del punto di gioco ad una distanza inferiore a 500 metri rispetto ad una parrocchia, “annoverabile senza incertezze tra i luoghi sensibili”, afferma la sentenza.

La questione attiene all’accertamento in fatto dell’effetto espulsivo dei prametri del distanziometro e occorre prendere a riferimento il territorio comunale.

Nella sentenza si legge che “questione dirimente (…) per la decisione (…) va individuata nell’accertamento in punto di fatto dell’effetto espulsivo (…) per effetto delle deliberazioni comunali di mappatura dei luoghi sensibili di cui all’art. 6 co. 2-bis L.R. 5/2013 e delle limitazioni urbanistico-edilizie conseguenti all’approvazione del RUE, l’attività di raccolta (…) sarebbe del tutto azzerata, non essendo concretamente attuabile la delocalizzazione pur prevista dalla normativa regionale”.

Peraltro, nella sentenza viene indicato che “il territorio da prendere in riferimento secondo la giurisprudenza dell’adito Tribunale non può che essere quello comunale (ex multis T.A.R. Emilia – Romagna Bologna sez. I, 2 novembre 2020, n. 703) in chiave di garanzia per il diritto di libera iniziativa economica”.

Ma l’aspetto più interessante è che si devono “escludere le aree in zone rurali o scarsamente abitate penalizzate dal punto di vista dell’attività commerciale o comunque incompatibili (per l’assenza di parcheggi, ragioni di viabilità ecc.)”.  Aree periferiche che dunque devono non essere considerate insediabili nella loro totalità.

I principi di necessità, adeguatezza e proporzionalità.

Allo stesso tempo viene precisato che se il criterio delle distanze è in sé un criterio ritenuto lecito per la salute pubblica (e al riguardo viene citata la sentenza Corte Cost. n. 108/2017), è però anche vero che esso deve risultare conforme a parametri di necessità, adeguatezza e proporzionalità, “altrimenti presentando un contenuto sostanzialmente ablatorio in violazione degli artt. 41 e 42 Cost. e dell’art. 1 Primo Prot. Add. CEDU (T.A.R. Emilia – Romagna, Bologna, sez. I, 23 dicembre 2020, n. 856; in termini Consiglio di Stato sez. V, 28 febbraio 2022, n. 11426)”..

Le verifiche tecniche contrastanti

Nel giudizio operato il Collegio si è affidato alle risultanze della verifica tecnica di un architetto (architetto Fabbri), paragonando le medesime con quelle di un altro verificatore (ing. Vitillo) che in giudizio analogo tenutosi innanzi al Consiglio di Stato è però giunto a conclusioni in parte diverse.

In particolare, entrambe le verificazioni hanno escluso la possibilità di insediamento in concreto da parte di iniziative che abbiano la particolare destinazione d’uso d5 (attività ricreative, sportive e di spettacolo ad elevato impatto).

Mentre sulle altre due tipologie di destinazioni d’uso, d2 (sale gioco con capienza inferiore a 100 persone) e d4 (sale gioco ammesse solo nelle unità delizie in essere): (i) il primo verificatore “ha affermato in astratto l’esistenza di aree (seppur in zone periferiche) pur essendo esse incompatibili in concreto con l’attività di sala bingo gestita dalla ricorrente, concludendo per l’effetto espulsivo”;  (ii) il secondo “ha affermato l’esistenza di aree (…) potenzialmente idonee pari all’1,7% del territorio urbanizzato, affermando solamente una marginalizzazione dell’attività (circoscritta in aree periferiche) ma escludendo, diversamente dall’arch. Fabbri, l’effetto espulsivo nel territorio comunale”.

La soluzione e la verifica in concreto dell’insediabilità

Ebbene al riguardo il Collegio ha risolto la questione affermando l’esistenza dell’effetto espulsivo solo chiarendo che la destinazione d’uso di riferimento deve essere la d5, ossia quella considerata non praticabile da nessuno dei due verificatori, e non le altre due indicate.

Tuttavia, dalla sentenza emergono anche indicazioni importanti e rilevanti posto che il Collegio si spinge a precisare che “come recentemente rilevato dal Consiglio di Stato l’effetto espulsivo si manifesta non solo nel caso di totale indisponibilità di aree ma anche ove sia impossibile la delocalizzazione delle sale giochi per limitazioni urbanistico edilizie e/o per insufficienza quantitativa delle stesse (Consiglio di Stato sez. V, 28 febbraio 2022, n. 11426) dovendo le distanze dai luoghi sensibili rientranti nella competenza regionale in tema di tutela della salute rispettare il limite della proporzionalità, stretta necessità ed adeguatezza”.  E ciò in quanto “non è possibile azzerare la possibilità prevista dalla normativa regionale di delocalizzare”.

Peraltro è di tutta evidenza che tale assunto vale più in generale anche per i distanziometri di altre leggi regionali che pur non prevedendo espressamente la possibilità di delocalizzazione comunque dichiarano di prevedere un regime di distribuzione ridotta sui territori e non anche una interdizione assoluta.

Inoltre, un dato che emerge è che in ogni caso occorre operare una verifica di insediabilità in concreto non essendo possibile limitarsi ad operare delle deduzioni di possibilità di insediamento che siano astratte.

La responsabilità della dovuta disapplicazione della Legge viene assegnata al Comune.

Infine, la circostanza curiosa è che secondo il Collegio il “contemperamento [tra esigenze di tutela della salute e tutela dell’impresa “già in essere e del tutto lecita, per quanto foriera di possibili pregiudizi per la salute della popolazione”] non può che essere effettuato in sede di pianificazione comunale la quale deve garantire l’equilibrata distribuzione degli esercizi sul territorio comunale tenendo conto delle esigenze di delocalizzazione (T.A.R. Emilia – Romagna Bologna sez. I, 2 novembre 2020, n. 703)”.

E’ curiosa la circostanza nel senso con essa il Collegio, da un lato, invita di fatto il Comune a disapplicare la Legge Regionale nel caso rilevi tali incongruenze, obbligandolo in fatto a verificare l’insediabilità in concreto e, dall’altro, fa salvo il precetto regionale che impone i parametri espulsivi del distanziometro di fatto lasciando che questioni del genere si pongano per altri operatori e per altri comuni della regione.

Conclusioni

Se, da un lato, è bene che sia emerso ancora una volta che le verificazioni debbano essere operate in modo che sia accertata la insediabilità in concreto e non in astratto, tuttavia, dall’altro, non può non rilevarsi quanto, rispetto alla mera responsabilizzazione del Comune, si ritenga più efficace mettere in discussione la stessa Legge Regionale, ovviamente solo nella misura in cui essa, col suo distanziometro ed i suoi parametri, finisca per vietare la totalità dei territori od anche la loro sostanziale totalità, chiamando a pronunciarsi la Corte Costituzionale una volta per tutte.

Geronimo Cardia



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