Non ci sono motivi nuovi per far chiudere le sale nel corso dei giudizi di merito sui distanziometri espulsivi – GERONIMO CARDIA (JAMMA DICEMBRE 2021)

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Non ci sono motivi nuovi per far chiudere le sale nel corso dei giudizi di merito sui distanziometri espulsivi.

Il tema trattato ha impatto sulle realtà interessate da provvedimenti di chiusura che abbiano ottenuto in sede giudiziale il diritto a rimanere in attività nelle more della discussione del merito, nonostante l’esistenza di un provvedimento di chiusura.

In particolare, con l’ordinanza cautelare n. 136 emessa il 10/11/2021 nell’ambito del ricorso RG 276/2018, il Tar Bolzano ha respinto un’istanza del Comune ex articolo 58 c.p.a. di modifica della precedente ordinanza cautelare concessa, richiamando delle argomentazioni specifiche ritenute di interesse. L’ordinamento processuale prevede, infatti, all’art. 58 c.p.a. che “le parti possono riproporre la domanda cautelare al collegio o chiedere la revoca o la modifica del provvedimento cautelare collegiale se si verificano mutamenti nelle circostanze o se allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare”.

Al riguardo il Consiglio di Stato ha precisato anzi tutto che l’istante non avesse proceduto, all’epoca dell’emissione della ordinanza cautelare in questione, con l’impugnazione di questa innanzi al Consiglio di Stato. In secondo luogo, ha messo in evidenza che “le circostanze fattuali sopravvenute successivamente al primo provvedimento cautelare, secondo la giurisprudenza, “devono influire sul rapporto amministrativo inciso dagli atti censurati in giudizio, determinando un mutamento dell’originario assetto sostanziale attuato tra le pari e su cui ha statuito il giudice” (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, ordinanza n. 4458 pubblicata il 27 agosto 2021)”. E riguardo specificamente al caso concreto, ha poi statuito che il fatto peculiare rappresento nella domanda (i.e. la circostanza che il Comune anche dopo la legge sul distanziometro avesse concesso l’apertura di sale, a riprova dell’esistenza di spazi insediabili ed a conferma dell’inesistenza di effetto espulsivo) fosse già stato considerato in occasione del riconoscimento della cautelare stessa e che “non influisce sul rapporto amministrativo inciso dal provvedimento impugnato, né produce alcun mutamento dell’originario assetto sostanziale attuato tra le parti e su cui ha già statuito il Collegio”. Infine, non secondaria è la precisazione finale con la quale viene indicato che “il dedotto mutamento dell’orientamento espresso in sede cautelare dal Consiglio di Stato nella materia in esame non rientra in alcuna delle fattispecie rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 58 c.p.a., non potendo in ogni caso l’istanza di modifica avere per oggetto nuove e diverse valutazioni giuridiche sull’affare già delibato dal Collegio”.

A ben vedere, risulta importante chiarire che, così come nel caso concreto affrontato dal Tar, neanche più in generale riguardo all’affaire dei distanziometri espulsivi allo stato si possano registrare mutamenti di circostanze che integrino il requisito richiesto dalla norma. E che consentano quindi di far richiudere delle sale tenute aperte in attesa dei giudizi di merito.

Il fatto che siano state autorizzate delle aperture nelle more del contenzioso, ammesso che ciò si sia verificato effettivamente, di per sé comunque non rappresenta e non può rappresentare una circostanza fattuale nuova idonea a mutare l’orientamento già assunto. E ciò per una ragione principalmente sostanziale secondo la quale quando viene denunziato il vizio dell’effetto espulsivo di una norma sui distanziometri si mette in evidenza normalmente che il livello di interdizione determinato è “sostanzialmente” totalizzante, difficilmente “assolutamente” totalizzante. Si individuano, infatti, percentuali di interdizione del 99% che, da un lato, è evidente prestino il fianco alle medesime censure che meriterebbe una percentuale di interdizione del 100% e, dall’altro, non è escluso in astratto possano consentire qui e là qualche installazione di nuove sale.

Nelle doglianze che vengono rappresentate da anni si è sempre detto: l’area vietata è troppo ampia e finisce per individuare un’area consentita troppo ristretta e troppo concentrata affinché possa ritenersi effettivamente insediabile e perché possa rispondere allo scopo di presidiare il territorio con un’offerta pubblica. L’area insediabile è troppo ristretta perché corrisponde ad una percentuale minima, concentrata e tra l’altro periferica. In particolare si è calcolato il numero dei chilometri quadrati di superficie insediabile, il numero di quelli dell’intero territorio comunale e si sono date le percentuali. E’ evidente che in concreto costringendo alle realtà esistenti di verificare la loro posizione rispetto a luoghi sensibili vecchi e nuovi si finisce per determinare nei fatti un effetto che progressivamente marginalizza, confina ed espelle (la quasi totalità del) l’offerta di gioco pubblico.

Peraltro, la scelta di concentrare l’offerta di gioco nelle periferie ed ai margini del territorio è stata duramente criticata anche dal CTU nella nota perizia oggi all’attenzione nel giudizio di revocazione ancora pendente che riguarda proprio il distanziometro della Provincia di Bolzano. Nel documento, a prescindere dal proposto postulato tutto da verificare, si legge infatti che “il cambiamento nella struttura dell’offerta del segmento del mercato in questione indotto dalle modifiche interpretative nell’applicazione della normativa provinciale implica anche la focalizzazione su proposte di servizi con l’obiettivo di attrarre i giocatori problematici e patologici …queste nuove sollecitazioni da parte dell’offerta rischiano di polarizzare il segmento dei giocatori problematici, con alcuni che tenderanno a ridurre la loro frequenza di gioco mutando il loro profilo in sociali/occasionali e altri che, invece, attratti dai nuovi servizi offerti dai gestori muteranno il loro profilo in patologico” Concludendo che “gli esiti finali, in sostanza, potrebbero essere contrastanti con gli obiettivi prefissati dalla norma, rimarcandone in questo senso la sua inefficacia”. Accanto a tale spetto viene poi preso in considerazione dal CTU il tema dalla mancanza di un elenco univoco di luoghi sensibili fornito dalle amministrazioni provinciali e comunali, nonché la discrezionalità di queste ultime nella relativa attuazione, e la mancanza di una norma specifica che assicuri stabilità alle realtà esistenti per i casi di aperture di nuovi luoghi sensibili. Tale aspetti rappresentano la prova di quell’ “alea interpretativa che genera un’incertezza irredimibile” denunciata proprio dal CTU arrivando a sostenere che “i margini interpretativi della normativa preesistente sui luoghi sensibili possono arrivare a produrre scelte che generano un’interdizione assoluta”. Ecco interdizione assoluta.

Atra grande tematica da sfatare nelle sempre numerose pronunce giurisprudenziali richiamate dalle difese dei Comuni è quella secondo cui vi sarebbero delle sentenze dirimenti sulla legittimità dell’effetto espulsivo dei distanziometri. In realtà così non è ed anzi sono ormai numerose le ordinanze cautelari di accoglimento dei provvedimenti. Molte delle pronunzie citate spesso non fanno altro che ribadire la certamente riconosciuta competenza a deliberare in merito cristallizzata dal Titolo V della Costituzione, ma mai affrontano il tema della manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale delle norme nella misura in cui finiscano per determinare in concreto un divieto sulla sostanziale totalità del territorio.

Peraltro, e tornando al caso oggi in esame, anche ammesso vi sia un mutamento giurisprudenziale, e non v’è stato, la lettera del codice è chiara: nella nozione di “mutate circostanze” non può includersi certamente il sopraggiungere di un mero orientamento giurisprudenziale. Alle mutate circostanze, infatti, il legislatore associa il sopraggiungere di fatti concreti attinenti al bene della vita che siano nuovi ed idonei a fa venir meno il fumus ed il periculum già valutati.

Ed ancora, se di mutamenti delle circostanze oggettive proprio si volesse parlare forse andrebbero ricordati gli effetti dettati dall’emergenza sanitaria che ha stravolto l’agenda sanitaria, produttiva e legislativa non solo del Paese ma del mondo. In particolare le sale per le restrizioni imposte hanno subito la totale chiusura per 11 mesi su 15 da marzo 2020 a giugno 2021. Ed in alcune realtà come quella di Bolzano, tra l’altro, la riapertura è stata posticipata all’1.07.2021, rispetto alla qualificazione di zona bianca del 21.06.2021 previsto dal legislatore nazionale.

Ma al di là di ciò, quello che non viene mai messo in evidenza è che se fosse realizzato l’effetto espulsivo in concreto anche delle realtà preesistenti (ma anche solo la loro marginalizzazione nelle periferie), verrebbe determinata in concreto una sostanziale desertificazione del territorio di quasi tutta l’offerta pubblica di gioco da quasi tutto il territorio. Alla sostanziale desertificazione corrisponderebbe immediatamente la violazione di diversi interessi costituzionali, non solo quello economico degli operatori che spesso viene ingiustamente isolato e richiamato da solo per denunciare la sua soccombenza rispetto ad altri interessi pubblici. Con la conseguente invasione del territorio da parte dell’offerta illegale, che interverrebbe per soddisfare una domanda di gioco che comunque esiste: (i) agli utenti verrebbero somministrati prodotti illegali, incontrollati e smisurati e dunque nocivi sul piano della salute (disturbo da gioco d’azzardo) e del risparmio; (ii) all’erario verrebbe sottratto il gettito generato dal gioco pubblico che ha pacificamente natura di emersione; (iii) all’ordine pubblico verrebbe inferto un duro colpo; (iv) ai lavoratori verrebbe tolto l’impiego; (v) e solo in ultima analisi verrebbe leso il diritto all’impresa del Ricorrente.

Tutto quanto sopra mette ancora una volta in evidenza quanto sia necessaria da tempo una legge di riordino del settore ma fa anche riflettere sul fatto che una soluzione giudiziale alla questione territoriale avrebbe potuto velocizzare i tempi della definizione del riordino. Che siano maturi i tempi per l’una e per l’altra?

Geronimo Cardia



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