SCIENZA E BUON SENSO CONTRO RESTRIZIONI ED ECCESSI. Riaprire in sicurezza senza indugio per uscire dalla pandemia ma senza dover richiudere immediatamente per i distanziometri espulsivi delle leggi regionali. Geronimo Cardia (Gioconews, giugno 2021)

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(SECONDA PARTE)

Riaprire in sicurezza senza indugio per uscire dalla pandemia ma senza dover richiudere immediatamente per i distanziometri espulsivi delle leggi regionali.   

Nel numero precedente avevamo visto l’impatto delle restrizioni sul comparto del gioco pubblico e proposto alcuni rilievi, insieme ad alcune possibili soluzioni, basandoci sul buon senso (oltre a ricorrere alla giurisprudenza). Oggi sviluppiamo ulteriormente l’argomento partendo dall’analisi scientifica della stessa materia.

Le valutazioni scientifiche.

Andando oltre al buon senso, il mondo scientifico da sempre esprime una perplessità profonda (mal digerita, a volte mal celata) in merito all’individuazione del criterio del distanziometro in sé (qualunque utente razionale, problematico, o patologico potrebbe percorrere 200 o 500 metri da un luogo ritenuto sensibile oltre che da casa propria) e un’avversione nei confronti del proibizionismo puro come ad esempio determinato dai distanziometri espulsivi (che di fatto determinano il divieto sulla sostanziale totalità dei territori, da un lato, e la marginalizzazione dell’offerta pubblica nelle periferie, dall’altro).

Nel 2017, nell’ambito di una ricognizione degli studi emerge che se l’analisi dovesse limitarsi alla lettura delle sole conclusioni di parte della produzione scientifica disponibile dovrebbe prendersi atto di una reticenza a dare giudizi netti di bocciatura della misura del distanziometro.    Quello che colpisce, tuttavia, è che andando a vedere nel cuore degli studi in realtà si rinvengono dei passaggi fondamentali che sembrano invece mettere in serio dubbio la sua efficacia.  Sia esso inteso come distanziometro effettivo (nella misura in cui sia concepito tecnicamente in modo che lasci anche spazi adeguati alla distribuzione pubblica) sia esso come distanziometro espulsivo (che ciò impone un proibizionismo di fatto sulla sostanziale totalità del territorio).  In effetti, sembrerebbe potersi dire che vi siano diversi spunti per affermare che i giocatori problematici e quelli patologici non solo non si fermino di fronte ad una distanza di 500 metri da luoghi sensibili come Chiese o scuole, ma non siano nemmeno disposti a rinunciare a giocare in presenza di chilometri da affrontare (cfr., in particolare, sul punto “Proibizionismo tra scienza e giurisprudenza” – anche gli studi scientifici, in realtà, sono contro il proibizionismo inflitto al gioco legale. Ecco le prove.”  GIOCONEWS 12/2017).

Molti studi analizzati mettono altresì in risalto il fattore della cosiddetta “accessibilità” al gioco che potrebbe in linea teorica favorire il gioco.    Tuttavia tale richiamo mal si concilia, almeno agli occhi esterni di un osservatore esterno con tutte le affermazioni relative alla deriva anche solo problematica dell’incapacità di controllo e di ponderazione di fattori razionali quali la vicinanza o meno ai propri luoghi di frequentazione e con quanto poi riferito in seguito in merito alle conseguenze della marginalizzazione in periferia.

Un altro dato che colpisce è che difficilmente si trovano studi che mettano esplicitamente in evidenza una valutazione su quali siano i luoghi definibili sensibili, perché di maggiore frequentazione dei soggetti da proteggere, e certamente nessuno studio scientifico certifica l’idoneità di un luogo sensibile utilizzato piuttosto che di un altro.

Diverse sono poi le considerazioni registrate nella letteratura scientifica riguardo i comportamenti ascritti al giocatore medio, a quello che è definito giocatore sociale, che, in linea teorica, se posto di fronte alla scelta di percorrere chilometri per accedere ad una forma di gioco legale, ha tutta la razionalità e tutta la centratura per compiere la scelta di non andare e di preferire altre forme di gioco, legali o illegali, o altre forme di intrattenimento.

Da quanto sopra non solo sembrerebbe che effetto espulsivo o marginalizzazione di fatto non curano e non contrastano effettivamente l’impulso patologico o problematico ma, addirittura, per quanto dedotto, se risulta verificato il teorema che al proibizionismo del gioco legale corrisponde l’invasione del gioco illegale, di fatto peggiorano la qualità del prodotto al punto da penalizzare ulteriormente la patologia dei soggetti deboli alimentando ulteriormente le loro patologie.

Sul punto, è molto interessante quanto precisato da CANEPPELE S, MARCHIARO M, “Gioco d’azzardo patologico: monitoraggio e prevenzione in Trentino, Rapporto Progetto Pre. Gio. 2013-2014”, maggio 2016, in www.transcrime.it.    In detta relazione, infatti viene precisato quanto segue in merito alle “Restrizioni sulla disponibilità di gioco. È noto che l’aumentare della disponibilità di determinate tipologie di prodotti, che possono creare una dipendenza pur essendo legali, incrementa anche il loro utilizzo, tuttavia tale relazione non è mai semplice e lineare (Williams, West, e Simpson 2012). Per ciò che concerne il gioco d’azzardo, diversi autori hanno sostenuto una relazione positiva fra la disponibilità e l’accessibilità dei giochi d’azzardo legalizzati da un lato, e i tassi di prevalenza del gioco d’azzardo patologico dall’altro (Marshall e Baker 2002; Parsons e Webster 2000; Pearce et al. 2008; Shaffer, LaBrie, e LaPlante 2004; John William Welte et al. 2009; 2004). Tuttavia, tale relazione si presenta alquanto complessa. Come spiegato da Williams e colleghi (2012), i tassi di gioco problematico in Nord America e Australia hanno iniziato a crescere nel decennio 1985-1995, hanno raggiunto l’apice nel decennio successivo, ma da quel momento hanno iniziato ad abbassarsi. Il periodo di crescita dei tassi di prevalenza del GAP è risultato sostanzialmente coincidente con la rapida introduzione e la relativa espansione delle opportunità di gioco legali nei Paesi considerati, il che si è mostrato strettamente connesso all’incremento della spesa pro-capite per gioco d’azzardo e ad un aumento complessivo dei tassi di partecipazione a questa attività. Dopo tale fase è iniziato un graduale calo delle percentuali complessive dei soggetti definiti come problematici e, attualmente, i tassi di persone con problemi di gioco d’azzardo eccessivo sono analoghi a quelli degli anni ’80, prima dell’espansione del gioco. Poiché la disponibilità del gioco d’azzardo è in costante aumento negli ultimi trent’anni in molti Paesi, i risultati dell’indagine possono supportare due tesi differenti, ma non necessariamente in contrasto (Shaffer, LaBrie, e LaPlante 2004; Storer, Abbott, e Stubbs 2009):     1. l’aumento della disponibilità del gioco d’azzardo porta ad una crescita nei tassi complessivi di GAP;      2. le popolazioni tendono ad adattarsi nel corso del tempo.  Esistono infatti differenti meccanismi potenzialmente responsabili della diminuzione della prevalenza del gioco d’azzardo eccessivo126 (Williams, Volberg, e Stevens 2012,7):     – crescita della consapevolezza della popolazione dei possibili danni legati al gioco d’azzardo (abbassamento dei livelli di predisposizione all’attività);   – diminuzione complessiva della partecipazione alle attività di gioco (maggiore cautela dopo il primo periodo di novità);    – esclusione di alcuni soggetti dal gruppo di giocatori considerati problematici a causa di gravi conseguenze negative derivanti dal gioco stesso (bancarotta, suicidio, ecc.);    – aumento degli sforzi complessivi volti a garantire un gioco “sicuro” e a mettere in atto programmi di prevenzione efficaci contro il GAP;    – aumento dell’età della popolazione. (…).     Partendo dal presupposto che di fronte al fenomeno del gioco d’azzardo occorre sviluppare strategie complessive che tendano a minimizzarne gli effetti negativi e, nello stesso tempo, a riconoscerne i potenziali benefici, emerge chiaramente come, in prospettiva, siano da escludere dal dibattito le due opzioni estreme: il proibizionismo e il liberalismo di mercato.    L’opzione proibizionista, ossia considerare il gioco d’azzardo, in quanto tale, un’attività illegale, porterebbe a una crescita esponenziale del mercato clandestino dei giochi e darebbe ampio spazio alla criminalità organizzata e al banditismo”.

E posto che l’ipotesi liberista estrema non sia neanche sul tavolo delle idee, resta da salutare con soddisfazione che anche la valutazione scientifica del proibizionismo rappresenta una bocciatura chiara.    In sostanza vengono bocciate inaccessibilità ed accessibilità eccessiva.   Al legislatore l’ardua missione di individuare una tempo per tempo misurata accessibilità che certo non è né la marginalizzazione né tantomeno il proibizionismo dell’effetto espulsivo imposto dai distanziometri attuali.

Peraltro non può non ricordarsi quanto dichiarato dalla dott.ssa Adele Minutillo, dell’Istituto Superiore della Sanità, in un suo intervento in cui ha dichiarato “Dal punto di vista sanitario non sappiamo se il distanziometro funziona. In realtà, non abbiamo evidenze scientifiche, se non in modelli statunitensi o australiani, molto lontani dalla nostra realtà. Nei mesi passati abbiamo sentito molti giocatori in trattamento per il disturbo da gioco d’azzardo. Tanti ci raccontano che nel momento della compulsione del comportamento cercano un luogo di gioco spesso lontano dal posto dove vivono. Questo avviene perché, quando il giocatore è in fase di compulsione, si sente in colpa verso la famiglia perché sa che sta togliendo loro soldi e tempo. Cerca quindi posti lontani dal suo abitudinario e dove non lo conoscono per andare a giocare. Se questo fosse confermato dalla ricerca che stiamo effettuando, il distanziometro potrebbe addirittura far aumentare la dipendenza piuttosto che risolverla. Il disturbo da gioco d’azzardo è un problema che esiste, ma il rischio è che si generalizzi troppo o che si utilizzino misure che non servono effettivamente a chi ha il disturbo”.

Anche studi più recenti in modo piano affrontano direttamente il tema. I distanziometri espulsivi o semplicemente marginalizzanti (come la sostanziale totalità dei distanziometri imposti), sono in realtà palesemente contro lo scopo della norma volta a tutelare le fasce deboli e ad arginare il disturbo da gioco d’azzardo (ci sono perizie che lo affermano).  E ciò, in quanto per la loro natura di divieto assoluto si rivelano dannosi per il loro agire negativamente sulla compulsività degli utenti problematici o patologici (sempre alla ricerca di luoghi nascosti per dare sempre più sfogo alle proprie dipendenze) e sulla percezione da parte degli utenti razionali delle periferie (che assisterebbero alla concentrazione eccessiva di offerta pubblica di gioco marginalizzata perché espulsa dalla sostanziale totalità del territorio cittadino del centro).   Ed ancora, le limitazioni, ancorché misurate, di orari di distribuzione del gioco pubblico (per quelle che impongono interruzioni eccessive vi è lo stesso giudizio negativo dei distanziometri espulsivi), non accompagnate da un’adeguata messaggistica, non fanno altro che agire – negativamente – sulla compulsività degli utenti, desiderosi di riprendere la propria pratica, al punto di riprendere il gioco al termine dell’interruzione con maggiore intensità se non al punto da ricercare da subito altre fonti di gioco per esempio recandosi presso l’offerta illegale o canali diversi da quello del territorio come l’on line soprattutto se illegale.

Su tali aspetti può richiamarsi la pubblicazione dello studio portato a termine da parte della Italian Society of Psychopathology dal titolo “Il disturbo da gioco d’azzardo – implicazioni cliniche, preventive e organizzative” sul numero 1/2020 della rivista scientifica Journal of Psychopathology, disponibile anche sul sito al link www.jpsychopathol.it  (cfr., in particolare, sul punto “Regolamentare in modo con sapienza ed efficacia” – Contrasto al DGA: le distanze e gli orari imposti, così come le misure realmente efficaci, vanno rispettivamente valutate ed individuate con l’imprescindibile approccio obiettivo, scientifico-sanitario” , PRESSGIOCHI marzo 2020).

Lo studio, condotto da importanti esponenti del mondo scientifico, in definitiva mette in evidenza che “Diverse misure sono state proposte dalle società contemporanee per la gestione del fenomeno, ma il loro impatto effettivo merita di essere accuratamente valutato. Attualmente, le risposte al problema del gioco d’azzardo non sono ancora sufficientemente delineate e socialmente soddisfacenti. Sono quindi necessarie strategie preventive, riabilitative e di cura che si basino maggiormente sulle conoscenze psicopatologiche e neuroscientifiche del disturbo.

In definitiva, dalla lettura del documento sembrerebbe emergere che il distanziometro non incide sul giocatore problematico e su quello patologico.  Al contrario la marginalizzazione delle sale gioco, per i giocatori patologici e problematici, potrebbe accrescerne l’attrattività proprio per le condizioni di maggiore isolamento che vi troverebbero. Viene inoltre confermato che il giocatore razionale delle periferie (a più alta densità abitativa tra l’altro) potrebbe risentire dell’eccesiva concentrazione dell’offerta pubblica marginalizzata dall’effetto espulsivo.

Interessanti, poi gli spunti per eventuali azioni concrete future, laddove viene precisato che:   (i) “dal punto di vista preventivo, (…) la possibilità di attuare un registro di esclusione, fruibile a livello nazionale e in grado di impedire l’accesso nelle aree di gioco a soggetti sensibili o già diagnosticati e/o in trattamento per disturbo da gioco d’azzardo (…)  potrebbe garantire una buona efficacia, come già dimostrato in paesi come Spagna e Germania (Motka et al., 2018), soprattutto se guidato e ben integrato con la rete territoriale sanitaria dei servizi per le dipendenze (Serd), dei Centri di Salute Mentale (CSM) e del Terzo Settore qualificato. Il sistema della segnalazione e successiva esclusione dovrebbe essere associato a un ‘efficace rete informativa tra i licenziatari. L’attuazione di strumenti integrati d’intervento precoce e prevenzione attiva dovrebbe necessariamente contemplare la possibilità di considerare la segnalazione da parte dei familiari del giocatore”;  (ii) “altre misure riguardano la possibile revisione dei parametri di gioco degli apparecchi, che consentano di misurare l’accesso al gioco d’azzardo in termini di tempo trascorso e di denaro speso, consentendo la possibile individuazione precoce di situazioni di gioco a rischio. Lo sviluppo di sistemi di questo tipo potrebbe auspicabilmente consentire l’individuazione di chi risulta bisognoso di un intervento specifico. Questi interventi dovrebbero essere attuati da operatori specificamente formati agli strumenti del counseling e del supporto psicologico e in grado di indirizzare chi é vulnerabile verso la rete dei servizi territoriali di cura (Serd, CSM, Terzo Settore), oltre che di includere chi ha superato i limiti in maniera reiterata nel registro di esclusione. La gestione di quest’ultimo potrebbe prevedere esclusioni temporanee o definitive o, addirittura, differenziazioni in merito alla tipologia di gioco, limitando l’accesso esclusivo a quei giochi a rapido turn-over che più tipicamente affliggono e caratterizzano chi è affetto da disturbo da gioco d’azzardo”;   (iii) “infine, può essere utile una considerazione specifica riguardo alle risorse: l’introito derivante dal gioco è consistente e in graduale aumento a fronte di un ambito – quello della prevenzione e della cura delle dipendenze – in cui, invece, mancano le risorse per fronteggiare l’aumento della diffusione e delle conseguenze sociali negative. Sarebbe pertanto opportuno vincolare e investire una parte delle risorse derivanti dal settore del gambling in favore dei servizi di cura e prevenzione delle dipendenze al fine di investire in progetti che estendano tali interventi non soltanto al disturbo da gioco d’azzardo, ma a tutte le forme di dipendenza (da sostanze in primis), visto l’elevato livello di comorbilità e la comunanza dei fattori di rischio per il loro sviluppo. Ciò permetterebbe di andare oltre a quanto ad oggi già previsto con il Fondo per il contrasto al disturbo da gioco d’azzardo, di cui alla legge di stabilità (articolo 1, comma 946, della L. 2018/2015) e, soprattutto, garantire una visione veramente integrata dei fenomeni di addcition, come da tempo enfatizzato nella letteratura EBM più qualificata. Peraltro questo tipo di comorbilità tra forme diverse di addiction rappresenta il problema centrale della presa in carico attuale di questi soggetti, come recentemente mostrato da diverse ricerche che hanno dato enfasi alla forte associazione del disturbo da gioco d’azzardo con i disturbi da uso di alcol e di cocaina. Le più alte concentrazioni di comorbilità, soprattutto nelle fasce di età più giovani, aprono risvolti medici, psicopatologici e sociali drammatici che dovranno essere rivalutate in una dimensione allargata dei fenomeni di addiction (Martinotti et al., 2006; Di Nicola et al., 2015; Dufour et al., 2016; Loo et al., 2019).

A ben vedere la soluzione efficace e sostenibile c’è.

Anche in quest’ottica scientifico sanitaria si scorge un serio e concreto contributo all’individuazione delle misure realmente idonee a contrastare il disturbo da gioco d’azzardo.

In questa direzione, dunque, potrebbe porsi la politica per la gestione del fenomeno, abbandonando pratiche di fatto proibizionistiche (non solo inefficaci ma controproducenti e peraltro dannose anche sotto il profilo dell’ordine pubblico, del gettito erariale, della produzione e dell’occupazione) e regolamentando quindi il fenomeno in modo sostenibile, con sapienza e soprattutto con efficacia.

Geronimo Cardia



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