LE DISTANZE DELLA GIURISPRUDENZA TRA COMUNI E REGIONI. In pieno lockdown i soli segnali di riapertura che si registrano sono quelli contro i distanziometri con effetto espulsivo dei comuni. Ecco un altro corto circuito giurisprudenziale tra le valutazioni su comuni e regioni. Geronimo Cardia (Gioconews, marzo 2021)

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In pieno lockdown i soli segnali di riapertura che si registrano sono quelli contro i distanziometri con effetto espulsivo dei comuni. Ecco un altro segnale di corto circuito giurisprudenziale tra le valutazioni su comuni e regioni.

Si è già avuto modo di mettere in evidenza quanto la giurisprudenza non abbia avuto difficoltà in passato a cassare distanziometri caratterizzati da parametri ritenuti eccessivamente limitativi, anche senza il supporto di una perizia urbanistica.

Ed è il caso: (i) dell’annullamento del primo distanziometro concepito dal Comune di Bologna (quello per intendersi che prevedeva un raggio di interdizione di mille metri) in autonomia rispetto a quello della Regione Emilia Romagna (sul punto cfr., in particolare, sentenze Tar Emilia Romagna numero 396/2015 e numero 407/2015 e sentenze Consiglio di Stato numero 578/2016 e numero 579/2016, nonché “Sentenza del Tar Emilia Romagna: ma allora è vero! le norme del territorio non sono conformi alla cornice nazionale del decreto Balduzzi” di Geronimo Cardia in Pressgiochi.it del 4 maggio 2015);   (ii) dell’annullamento della rivisitazione da parte del Comune di Bolzano dei parametri del distanziometro della Provincia di Bolzano (sul punto cfr., in particolare, sentenze Tar Bolzano numero 301/2016 e numero 302/2016 nonché “L’effetto della legge – Dopo l’Effetto Pantera e l’Effetto Espulsivo, ora è il momento dell’Effetto Domino, anzi del Domino-Effekt.” di Geronimo Cardia in Gioconews 12/2016);   (iii) dell’annullamento del distanziometro concepito dal Comune di Livorno in autonomia rispetto alla Legge Regione Toscana (sul punto cfr., in particolare, sentenza Tar Toscana numero 715/2017 nonché “Quando la distanza vuol dire divieto” di Geronimo Cardia in Gioconews 6/2017).

E si è avuto modo di mettere in evidenza, altresì, il paradosso di quanto sia ampia la distanza tra i provvedimenti giurisprudenziali che, da un lato, senza indugio si potrebbe dire, annullano i distanziometri comunali e, dall’altro, però non giungono a rimettere alla Corte Costituzionale la valutazione della lesività del concreto effetto espulsivo determinato da quei distanziometri invece concepiti in sede regionale o provinciale (sul punto, cfr., in particolare, cit “Quando la distanza vuol dire divieto”).    Al momento, per questi distanziometri, più che di censura giurisprudenziale sembrerebbe doversi parlare di auto censura da parte di quegli enti del territorio che abbiano autonomamente fatto retromarcia nei tanti casi delle realtà territoriali regionali e provinciali che si è avuto modo di definire virtuose per gli esemplari revirement deliberati nell’approssimarsi alla data della entrata in vigore dell’applicazione concreta del distanziometro anche alle realtà preesistenti (sul punto cfr., in particolare, “Una questione di tecnica” di Geronimo Cardia in Gioconews 12/2018 “Se non è riordino è retromarcia” di Geronimo Cardia in Gioconews 9/2019, “Il riordino spinto dal territorio” di Geronimo Cardia in Gioconews 3/2020 nonché “Meglio tardi che fuori” di Geronimo Cardia in Gioconews 10/2020).

Oggi, rimanendo in tema di pronunce giurisprudenziali che censurano distanziometri espulsivi, è il turno di due provvedimenti interessanti.   In ordine rigorosamente cronologico, uno relativo al distanziometro espulsivo del Comune di Medole, in Lombardia, un altro in relazione al distanziometro del Comune di Bologna.

Il distanziometro espulsivo del Comune di Medole (Lombardia).

In particolare, per quanto riguarda il primo, si tratta del provvedimento numero 181/2021 dell’8 febbraio 2021, adottato nell’adunanza di Sezione Prima del Consiglio di Stato del 2 settembre 2020, nell’ambito di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, per l’annullamento della deliberazione del Consiglio Comunale n. 8 del 30 marzo 2017, divenuta esecutiva in data 23 aprile 2017, del Comune di Medole avente ad oggetto “il regolamento che disciplina l’accesso alle aree e ai locali per il gioco d’azzardo lecito nonché la comunicazione datata 7 luglio 2017, prot. 2091/3325, a firma dello Sportello Unico Attività Produttive del Comune di Medole, con la quale è stato comunicato l’annullamento della “SCIA presentata (…) per installazione apparecchi per il gioco lecito”.

Nel provvedimento si legge che tra i motivi del ricorso che sono stati presentati vi sono: (i) la violazione della Leggere Regione Lombardia n. 8/2013 in relazione all’individuazione di ulteriori luoghi ritenuti come sensibili, posto che il criterio individuato dalla legge prevede che si tenga “conto dell’impatto dell’installazione degli apparecchi di cui al comma 1 sul contesto e sulla sicurezza urbana, nonché dei problemi connessi con la viabilità, l’inquinamento acustico e il disturbo della quiete”;  (ii) ed anche il concreto effetto espulsivo dalla sostanziale totalità del territorio, provocato dal distanziometro in questione, strutturato su una distanza di 3.000 metri (in luogo dei 500 previsti dalla legge regionale).

Al riguardo la censura è stata considerata “assistita da concreto interesse ad agire in quanto espressiva di immediata capacità lesiva laddove, con la distanza introdotta a livello regolamentare locale, di fatto impedisce definitivamente sull’intero territorio comunale l’installazione di sale giochi. Essa è, altresì, fondata.”.

Per tali ragioni viene richiamato che la Legge Regionale prevede all’articolo 5: (i) comma 1 che: “Per tutelare determinate categorie di soggetti maggiormente vulnerabili e per prevenire fenomeni da GAP, è vietata la nuova collocazione di apparecchi per il gioco d’azzardo lecito in locali che si trovino a una distanza, determinata dalla Giunta regionale entro il limite massimo di cinquecento metri, da istituti scolastici di ogni ordine e grado, luoghi di culto, impianti sportivi, strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o sociosanitario, strutture ricettive per categorie protette, luoghi di aggregazione giovanile e oratori”; (ii) comma 2 che: “Il comune può individuare altri luoghi sensibili, ai sensi dell’articolo 51, comma 1 bis, della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), in cui si applicano le disposizioni di cui al comma 1, tenuto conto dell’impatto degli insediamenti di cui al comma 1 sul contesto e sulla sicurezza urbana, nonché dei problemi connessi con la viabilità, l’inquinamento acustico e il disturbo della quiete pubblica.”.

Il provvedimento precisa che: (i) “Il Comune ha deciso di aumentare tale distanza a 3000 metri”; (ii) “La deliberazione consiliare non esplicita le ragioni di una siffatta scelta, derogatoria del limite massimo di 500 metri”; (iii) la deroga imporrebbe “una motivazione rafforzata, specifica e puntuale, frutto di una istruttoria approfondita e tecnicamente supportata”;   (iv) “La motivazione (postuma) [rispetto alla delibera] addotta appare apodittica e tautologica, replicabile per qualunque tipo territorio comunale in quanto astratta e generica.”;   (v) “Essa si traduce nei fatti, sostanzialmente, in un divieto di esercizio del gioco legale nell’intero perimetro del territorio comunale, stante l’impossibilità, conseguente al criterio del distanziamento utilizzato, di individuare luoghi in cui ubicare esercizio di gioco che rispettino le distanze dai luoghi sensibili.”; (v) “il riferimento alla conformazione del territorio è indice, semmai, dell’eccesso di potere perché utilizzato strumentalmente per vietare in modo generalizzato e surrettizio l’esercizio dell’attività economica sull’intero perimetro del territorio comunale, laddove essa conformazione avrebbe dovuto imporre un maggiore onere motivazionale per addivenire alla scelta più oculata.”;  (vi) “Non è dato comprendere, in altri termini, quale argomentazione logica sia in concreto sottesa alla incidenza del nuovo limite di distanza in ordine alla collocazione delle sale.”;  (vii) “Questo non implica che il Comune non possa giungere allo stesse conclusioni qui censurate, ma per farlo deve passare attraverso un’approfondita istruttoria tecnica, basata su elementi di fatto congruenti, previamente accertati e riscontrabili, da cui sia possibile evincere la concreta incidenza del nuovo limite di distanza sulla collocazione delle sale.”;  (viii)  “L’unico documento successivamente acquisito e prodotto dal Comune è rappresentato, invero, da un elenco di dati inerenti la raccolta e le vincite di gioco nel territorio provinciale.   Un documento, questo, senz’altro sintomatico e preoccupante ma purtroppo insufficiente a supportare la decisione nei termini assoluti in cui essa è stata presa”.

Con questo iter logico motivazionale il Consiglio di Stato ha previsto per quel che qui rileva che: “il ricorso in esame s’appalesa fondato (…); pertanto (…) esso va accolto. Per l’effetto, deve essere annullata (…) la deliberazione del consiglio comunale (…) per difetto di istruttoria e di motivazione, avuto riguardo al divieto di apertura o di trasferimento di sale da gioco nonché di installazione di nuovi apparecchi (…) in locali che si trovano a una distanza inferiore a 3000 metri da luoghi sensibili (…)”.

Il distanziometro espulsivo del Comune di Bologna.

Il secondo provvedimento giurisprudenziale in esame è quello relativo al provvedimento numero 198/2021 del 15 febbraio 2021, adottato nell’adunanza di Sezione Prima del Consiglio di Stato del 10 febbraio 2021, nell’ambito di un altro ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, per l’annullamento tra l’altro: (i) del provvedimento del 6 febbraio 2019, a firma del Dirigente dell’U.I. Attività produttive e commercio del Comune di Bologna, avente ad oggetto “Attuazione normativa regionale in tema di ludopatie”; (ii) della deliberazione n. 239/2018 del Consiglio comunale di Bologna, avente ad oggetto “Approvazione del regolamento per la prevenzione e il contrasto delle patologie e delle problematiche legate al gioco di azzardo lecito”, e relativi allegati, tra cui il “Regolamento per la prevenzione e il contrasto delle patologie e delle problematiche legate al gioco d’azzardo lecito”.

Per quel che qui rileva, nel provvedimento si legge che tra i motivi del ricorso che sono stati presentati vi sono: (i) il fatto che nell’ambito della valutazione del contemperamento degli interessi, l’atto impugnato “non avrebbe accertato la presenza delle condizioni indispensabili affinché l’attività si svolga senza pregiudizio per la salute pubblica”;   (ii) ed anche qui il concreto effetto espulsivo dalla sostanziale totalità del territorio provocato dal distanziometro in questione laddove viene precisato che “ove la sala si trovasse al di sotto del limite di 500 metri, i provvedimenti avrebbero innegabile effetto “espulsivo” in quanto non sarebbe possibile procedere alla dislocazione nell’ambito del territorio comunale; ciò in considerazione della massiccia presenza dei luoghi sensibili, che si estendono anche a quelli situati nell’ambito territoriale di Comuni confinanti, nonché dell’esistenza di altri divieti e limitazioni di carattere urbanistico, connessi alla destinazione d’uso dei locali ed alla situazione generale del mercato immobiliare.”, il tutto corredato da una perizia tecnica ad hoc”.

Ed ancora, dal ricorrente risulta essere contestato che: (i) “non è possibile comprendere: quale sia l’organo facente capo all’ente locale che ha posto in essere le misurazioni dai luoghi sensibili; quali siano gli strumenti in concreto utilizzati per porre in essere dette misurazioni; quali siano le effettive distanze tra le sale condotte dai ricorrenti ed i luoghi sensibili individuati”; (ii) “il Regolamento si limita a richiamare un generico criterio di calcolo della misurazione delle distanze, che non consente (…) la verifica circa la sussistenza o meno delle distanze e di comprendere l’esattezza delle misurazioni effettuate; ciò in quanto è specifico onere probatorio dell’amministrazione la dimostrazione delle ragioni che impediscono la permanenza dell’attività”;   (iii) “non è stato posto in essere alcun contraddittorio procedimentale”.

Al riguardo il Consiglio di Stato ha ritenuto che per portare a termine la propria valutazione è necessario completare la conoscenza con elementi fattuali che riguardano la vicenda, prevedendo che “l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli deve acquisire dal Comune di Bologna una dettagliata relazione tecnica, corredata da ogni pertinente documentazione, con la quale si chiarisca, anche in controdeduzione all’elaborato peritale prodotto dal ricorrente, se l’applicazione del divieto di esercizio di sale giochi e sale scommesse, in relazione ai luoghi sensibili mappati dal Comune e al limite distanziale previsto, comporti o meno l’effetto espulsivo lamentato nel gravame; evidenziando, altresì, le aree del territorio comunale in cui la delocalizzazione delle sale giochi e scommesse, pur in presenza del richiamato divieto, è possibile, sia in termini di allocazione in edifici già esistenti sia in termini di allocazione in strutture da edificare.

L’importanza delle pronunce e il percorso da non interrompere per eliminare il corto circuito

Le pronunce richiamate assumono oggi una grande importanza, posto che entrambe mettono in luce che il Consiglio di Stato stia dimostrando interesse nei confronti delle censure proposte dagli operatori riguardo all’effetto espulsivo in concreto prodotto dai distanziometri che, per eccesso di metri di interdizione o per eccesso di numero di luoghi sensibili individuati, di fatto determinano un divieto sulla sostanziale totalità dei territori, anziché una semplice riduzione.

In un caso, quello del comune di Medole, il Consiglio di Stato senza difficoltà cassa il distanziometro in presenza di un parametro sproporzionato ictu oculi, come quello dei tremila metri di interdizione, e registrando una carenza istruttoria a sostegno della misura individuata.

Nell’atro caso, quello del Comune di Bologna, il Consiglio di Stato, in mancanza di un dato macroscopico oggettivamente rilevabile ictu oculi, comprende la gravità del problema denunciato e supportato dalla perizia tecnica presentata dal ricorrente e, per questo, si riserva di decidere chiedendo preventivamente all’Ente Regolatore del settore, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, di acquisire il dato urbanistico dal Comune di Bologna e di riferire alla Sezione investita dell’onere di decidere.

Il percorso per sciogliere il nodo ed uscire dal corto circuito

Da tali pronunce, che si aggiungono alle altre pure richiamate in premessa, sembra potersi desumere che un distanziometro, se espulsivo, sia dunque illegittimo.  Ma prima di dire che qualsiasi distanziometro espulsivo sia illegittimo occorre però che il percorso non si interrompa.

E qui, in conclusione, gli aspetti su cui occorre ragionare, per evitare che permanga il già richiamato corto circuito nelle pronunce giurisprudenziali.   Occorre che lo stesso approccio venga assicurato, non solo quando i distanziometri si palesano espulsivi per azioni dirette dei Comuni, ma anche quando l’effetto espulsivo sia denunziato con riferimento a distanziometri concepiti da leggi regionali o provinciali, fermo restando che l’iter della censura debba passare per il riconoscimento della non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale che ricorrenti, o anche Collegi stessi, rinvengano quali conseguenze di un’interdizione sostanzialmente assoluta dai territori di provvedimenti regionali, che invece descrivono i distanziometri quali criteri di mera riduzione (non eliminazione) del gioco pubblico dai rispettivi territori. E questo è un aspetto.

Un altro aspetto è quello che sia valutato attentamente il concetto di espulsione dalla sostanziale totalità dei territori.  Le perizie urbanistiche che vengono proposte sono spesso quelle di comuni e nella totalità dei casi affrontati le percentuali di interdizione (sommando alle aree vietate con i distanziometri quelle delle aree altrimenti vietate) si attestano su valori altissimi fino al 99% dei territori.   Ora a prescindere dal nomen che si vuole dare a tale circostanza (effetto espulsivo solo se il divieto è 100%, marginalizzazione se di poco inferiore al 100% o qualsiasi altro), quello che conta è che, in un modo o in altro, se non si ferma questa situazione, si dovrebbe fare i conti con una serie di conseguenze contrarie all’interesse pubblico ed agli interessi tutelati dalla Costituzione perché non ci sarebbe più il presidio dei territori della (verticale distributiva di) offerta pubblica interessata di gioco: (i) i territori sarebbero invasi da offerte illegali pronte a soddisfare le esigenze di una domanda di gioco che comunque esiste;  (ii) lo Stato perderebbe il gettito erariale che con fatica è stato fatto emergere negli anni;   (iii) le imprese del comparto chiuderebbero;   (iv) i loro lavoratori incaricati di pubblico servizio perderebbero i posti di lavoro;  (v) non vi sarebbe una concreta tutela del risparmio degli utenti; e soprattutto (vi) sotto il profilo sanitario, si otterrebbe un risultato inverso a quello obiettivo dei distanziometri.

Ed infatti, oltre al fatto che così verrebbe meno la distribuzione di prodotti di gioco controllati e misurati dallo Stato, come dicono studi scientifici pubblicati su riviste specializzate, che come primo aspetto denunciano le distorsioni del proibizionismo al 100%, se in linea teorica vi fosse anche solo la possibilità concreta di insediamento di offerte pubbliche di gioco ai margini dell’1% residuali (possibilità scarsissima evidentemente), questi luoghi comunque raccoglierebbero la domanda dei giocatori problematici e patologici (disposti a percorrere anche ampi spazi per assecondare la propria domanda) e si paleserebbero comunque alla vista degli utenti razionali delle periferie (a densità abitativa ben superiore delle zone del centro delle città).

Di qui l’attesa dell’evoluzione di un percorso di chiarezza che è stato avviato dal 2011, che a distanza di dieci anni ancora non ha trovato una soluzione univoca ma che continua a intralciare lo svolgimento delle gare pubbliche del comparto, come peraltro osservato dallo stesso Consiglio di Stato (sul punto cfr., in particolare, Consiglio di Stato, pareri interlocutori numero 1057/2019 e numero 1068/2019 nonché “Come può uno stato” di Geronimo Cardia in Gioconews 6/2019), continua a confinare l’offerta pubblica dai territori ed a non dare invece risposte all’obiettivo di contrastare il disturbo da gioco d’azzardo che, come chiara declinazione del diritto alla salute, invece rappresenta il primo interesse da tutelare, in concreto.



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