02 Feb Quando la pausa forzata è mal controllata (Articolo Gioconews febbraio 2018)
Tra le limitazioni imposte al gioco legale distribuito sul canale terrestre dalla normativa territoriale troviamo le note limitazioni di orario o di erogazione del gioco o di apertura dei locali in cui il gioco viene distribuito. Si è avuto già modo di affrontare il tema dei rilievi che la giurisprudenza ha cominciato a rappresentare in ordine al difetto di istruttoria, laddove la misura non sia supportata da rilevazioni e studi non solo adeguati ma anche specificamente aderenti al territorio di interesse. Si è anche più volte richiamato il difetto di proporzionalità della misura laddove nei provvedimenti si raggiungano livelli di limitazione talmente opprimenti da rendere insostenibile l’attività di erogazione. Si è avuto altresì modo di rappresentare che l’Intesa tra Stato, da un lato, e Regioni e Comuni, dall’altro, voluta dal legislatore nazionale sin dal dicembre 2015, abbia visto la luce nel documento approvato a settembre 2017 e che in definitiva dall’accordo è emerso che a fronte di un drastico taglio al numero degli apparecchi presenti sul territorio, a fronte di importanti misure in termini di apporto di qualità all’offerta, le parti hanno riconosciuto, riguardo agli orari, che sia necessario: “Riconoscere agli Enti Locali la facoltà di stabilire per le tipologie di gioco delle fasce orarie fino a 6 ore complessive di interruzione quotidiana di gioco. La distribuzione oraria delle fasce di interruzione del gioco nell’arco della giornata va definita, d’intesa con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in una prospettiva il più omogenea possibile nel territorio nazionale e regionale, anche ai fini del futuro monitoraggio telematico del rispetto dei limiti cosi definiti”.Interessante, poi, il fatto che il comma 1049 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 20182020” abbia previsto, sia pure per le vicende relative ai distanziometri espulsivi, che “al fine di consentire l’espleta- mento delle procedure di selezione di cui ai commi 1047 e 1048, le regioni adeguano le proprie leggi in materia di dislocazione dei punti vendita del gioco pubblico all’intesa sancita in sede di Conferenza unificata in data 7 settembre 2017”.
GLI STUDI SCIENTIFICI – Fatta questa premessa di carattere normativo, preme evidenziare che da tempo è stato pubblicato uno studio scientifico importante relativo alla valutazione dell’impatto sul gioco d’azzardo delle norme che impon- gono delle interruzioni del gioco. In particolare, si tratta dell’articolo dal titolo “Gioco d’azzardo: le pause forzate raggiungono gli obietti- vi prefissati?”, scritto da Alexander Blaszczynski e Kate Hinsley (School of Psychology) nonché da Elizabeth Cowley e Christina Anthony (Business School) tutte della Università australiana di Sidney, e apparso il 15 agosto 2015 sulla rivista “Springer Science and Business Media New York”. Lo studio sembra focalizzato sul concetto di pausa del gioco e non necessariamente su quello di limitazioni di orari, tuttavia sembra potersi comunque valutare con attenzione per il fatto che il senso delle limitazioni orarie ricerca te dalla normativa territoriale nel nostro ordinamento giuridico è quello di interrompere in qualche modo l’accesso al gioco. Nello studio è ben rappresentato il concetto secondo cui “I danni dovuti al gioco d’azzardo emergono quando un giocatore supera il proprio reddito discrezionale disponibile e/o le so- glie discrezionali del suo tempo libero (Blaszczynski et al. 2008).” Ed è di tutta evidenza che, misurata (ma adeguatamente) la patologia, diviene compito di un ordinamento giuridico attento individuare le giuste misure, tanto è che viene dato conto del fatto che anche nelle realtà d’oltre oceano esaminate “sia i governi che gli operatori del settore, hanno introdotto strategie di gioco responsabile per minimizzare le percentuali di danni e disturbi relativi al gioco d’azzardo.” Tra le misure rilevate dallo studio in questione vanno ricordate quelle che tendono a interrompere l’attività di gioco: “Una pausa del gioco può essere definita come qualsiasi azione che risulta in un’interruzione, sospensione o cessazione temporanea del gioco che serve a distoglierne l’attenzione del giocatore e lo stato dissociativo”. Fondamentale, notiamo nella definizione, l’aspetto secondo cui per aversi una pausa “efficace” occorre che questa sia idonea a distogliere l’attenzione del giocatore e ad allontanarlo dallo stato dissociativo. Per questo viene poi chiarito che “prendersi del tempo al bancomat o alla cassa per accedere a fondi addizionali, o prendersi una pausa per andare in bagno o andare a pranzo prima di continuare a giocare, non sono generalmente considerate come vere e proprie pause dal gioco. Questo perché interrompere lo stato dissociativo può condurre il giocatore a rivalutare il suo comportamento durante il gioco, ma non necessariamente avviene. Egli infatti, tende a rimanere motivato per ricominciare a giocare dopo la pausa a meno che, questa non contenga messaggi di incitamento a riesaminare il suo comportamento.” In proposito, nello studio, si richiamano poi i lavori di altri esperti: “Stewart e Wohl (2012), usando un paradigma del gioco virtuale in laboratorio, hanno scoperto che i messaggi che sollecitano l’imposizione di un li- mite hanno aumentato la tendenza ad autolimitarsi”. Diversamente, un’interruzione non motivata rischia di essere controproducente: “Coerentemente con i concetti di McConaghy (1980) e Tiffany (1990), interrompere o disturbare il completamento di un comportamento bramoso, può essere controproducente negli individui che non sono motivati a controllare il loro comportamento. Tali valutazioni sono rappresentate nello studio con la presentazione dei risultati di uno studi operato su 141 soggetti, secondo cui “con le pause forza-te del gioco, il bisogno di giocare è aumentato, invece che diminuito.” E il bisogno di gioco si è rivelato più alto nei casi in cui siano state imposte pause ed interruzioni più lunghe.In particolare, lo studio arriva ad ipotizzare che “una volta che l’individuo è stimolato a giocare d’azzardo, sia come risultato di un’esposizione a fattori esterni o in risposta a stati affettivi negativi, qualsiasi barriera che viene imposta, comporterà un’esacerbazione nell’urgenza o voglia di giocare”. E ciò a meno che il giocatore non sia destinatario di messaggi aventi ad oggetto la responsabilità da mette- re nel gioco finalizzati a indurre il giocatore a mettere in discussione il proprio comportamento, nonché il dispendio di tempo e di denaro che sta auto infliggendosi. Con questa precisazione nello studio si spiega anche la compatibilità del riscontro empirico rappresentato con altri studi che, da un lato, è vero che “dimostrano una risposta positiva alle interruzioni del gioco (Jardin and Wulfert 2012; Ladouceur e Sevigny 2003; Monaghan 2008; Monaghan and Blaszczynski 2009,2010a, 2010b; Schellinck e Schrans2002)”, ma che dall’altro, è altrettanto vero che fanno perno su interruzioni accompagnate da messaggi di gioco responsabile. Si palesa come cruciale la considerazione secondo cui “Tali messaggi, in particolare quelli che promuovono l’autovalutazione, sono efficaci nell’indirizzare l’attenzione del giocatore al suo comportamento ed iniziare processi cognitivi che influenzano la motivazione a persistere nel gioco. In questo modo, essi si confrontano direttamente con il bisogno di rivalutare le proprie azioni e a portare su un livello superiore il loro iter decisionale.” In definitiva, secondo lo studio le “pause, senza messaggi (…), possono (…) portare a crescite controintuitive e controproducenti della voglia di giocare invece che interrompere lo stato di dissociazione e dissipare l’urgenza di continuare a giocare d’azzardo.Gli individui che non sono motivati a smettere o ridurre il loro coinvolgimento nel gioco, percepiranno le pause forzate durante il gioco come un’irritante frustrazione o come un’aspettativa cognitiva erronea di impedimento alla vincita”.È di tutta evidenza che è opportuno confrontare detti risultati con uno studio su un campione più ampio, che includa anche i giocatori patologici e problematici, che interessi il territorio ed il contesto italiano, con la sua domanda e la sua offerta. È però altrettanto vero che risultanze come quelle riportate devono far riflettere sull’esistenza di un’importante esigenza di verificare scientificamente e senza pregiudizi ogni misura ogni regola inerente il comparto votata alla protezione del giocatore problematico e patologico. Altrimenti si rischia di commettere non uno ma cento errori, a questo punto più o meno consapevoli: dal non ottenere il risultato di proteggere le fasce deboli, al favorire la proliferazione dell’offerta illegale, a solo spostare il gioco su altri canali distributivi, alla distruzione delle imprese che assicurano la distribuzione del gioco legale e controllato.
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