10 Dic Dazi doganali e libera circolazione delle merci( RIVISTA TRIBUTI DEL MINISTERO DELLE FINANZE – 1997 )
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA’ EUROPEE; quinta sezione; sentenza 7 novembre 1996; causa C-126/94; Pres. Moitinho de Almeida, Avv. gen. Tesauro (concl. conf.); Société Cadi Surgelés e altre contro Ministero delle Finanze e Direttore generale delle dogane; domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal d’Instance del 12° arrondissement di Parigi.
MASSIME DELLA SENTENZA
- Libera circolazione delle merci – Scambi con i paesi terzi – Dazi doganali – Tasse di effetto equivalente – Istituzione unilaterale da parte degli Stati membri dopo l’entrata in vigore della Tariffa doganale comune – Inammissibilità – Riscossione di tasse istituite prima dell’entrata in vigore della Tariffa doganale comune – Ammissibilità – Presupposti
(Trattato CE, artt. 12-29)
- Questioni pregiudiziali – Interpretazione – Effetti nel tempo delle sentenze di interpretazione – Effetto retroattivo – Limiti – Certezza del diritto
(Trattato CE, art. 177)
- Non è compatibile col Trattato CEE, divenuto Trattato CE, la riscossione di un dazio doganale o di una tassa di effetto equivalente introdotti unilateralmente da uno Stato membro dopo la messa in vigore della Tariffa doganale comune, il 1° luglio 1968, sulle importazioni in provenienza diretta da paesi terzi non vincolati alla Comunità da accordi particolari.
Il Trattato non osta invece alla riscossione di una tassa di effetto equivalente ad un dazio doganale all’importazione che, con riguardo a tutte le sue caratteristiche essenziali, segnatamente la sua denominazione, il suo fatto generatore, la sua base imponibile, i suoi criteri di applicazione le persone che vi sono soggette, nonché la destinazione del suo gettito, debba essere considerata come una tassa esistente a tale data, a condizione che non ne sia stato aumentato il livello. In caso di aumento va considerata incompatibile col Trattato soltanto la differenza che risulta dall’aumento.
- Le disposizioni del Trattato relative ai dazi doganali ed alle tasse doganali ed alle tasse di effetto equivalente non possono essere invocate, per imperiosi motivi di certezza del diritto, a sostegno di richieste dirette ad ottenere il rimborso di somme riscosse, a titolo di dazi aggiuntivi, su beni in provenienza da paesi terzi non vincolati alla Comunità da accordi particolari, prima del 16 luglio 1992, data della sentenza (causa C-163/90, Legros e a.), che dichiara l’inammissibilità di una tassazione siffatta con riguardo al diritto comunitario, salvo per coloro che, prima di tale data, abbiano intentato azioni giudiziarie o esperito rimedi equivalenti.
Ciò vale anche per le somme riscosse, prima di detta data, su tali beni a titolo di dazio di mare nei limiti in cui la riscossione delle somme in parola fosse dichiarata illegittima per violazione del divieto di introdurre unilateralmente nuove tasse di effetto equivalente dopo l’istituzione della Tariffa doganale comune.
La Corte di giustizia delle Comunità Europee è tornata a pronunciarsi sulla legittimità del c.d. dazio di mare, già oggetto delle sentenze Legros del 16 luglio 1992 e Lancry del 9 agosto 1994 e, in generale, sulla facoltà degli Stati membri di istituire o mantenere in vigore dazi doganali e tasse d’effetto equivalente.
Come è noto, tale tributo era riscosso nei Domini d’Oltre Mare (D.O.M.) francesi su tutte le merci colà importate, indipendentemente dalla loro origine e provenienza (ad esempio: altre regioni della Francia, Stati membri dell’Unione Europea, paesi terzi). La disciplina relativa a tale dazio, introdotto per la prima volta nei D.O.M. nel XVII secolo, era stata modificata più volte dalle autorità francesi, l’ultima con Legge n. 747 del 2 agosto 1984.
Nella citata sentenza Legros la Corte ha qualificato il suddetto tributo come tassa d’effetto equivalente ad un dazio doganale nella misura in cui esso gravi su merci importate da altri Stati membri dell’Unione e, di conseguenza, ne ha dichiarato l’illegittimità ai sensi dell’art. 12 del Trattato CE. Tali tributi, infatti, devono considerarsi incompatibili con la libera circolazione delle merci all’interno del mercato comunitario, secondo quanto disposto da un consolidato orientamento della stessa Corte (si veda, tra le altre, la sentenza Bauhuis del 25 gennaio 1977). In proposito, è stato considerato irrilevante il fatto che il dazio incidesse in eguale misura su merci provenienti da altre regioni della Francia. Tale circostanza, infatti, non diminuisce, né giustifica, l’ostacolo agli scambi intracomunitari causato dal dazio di mare.
La Corte ha altresì precisato che il divieto in questione non può essere interpretato ed applicato differentemente a seconda che si riferisca al commercio intracomunitario, come previsto nella fattispecie di cui al citato art. 12 CE, oppure al commercio con paesi legati all’Unione da trattati commerciali che riproducono la medesima norma. Essa ha pertanto concluso che il dazio fosse illegittimo anche con riferimento alle merci provenienti dalla Svezia fin dall’epoca in cui tale Stato, pur non avendo ancora aderito all’Unione, era parte dell’Accordo SEE.
Successivamente, con la citata sentenza Lancry, la Corte ha precisato che il dazio in questione costituiva violazione dell’art. 12 CE anche quando riscosso all’atto dell’introduzione nei D.O.M. di merci provenienti da un’altra regione della Francia. Trattasi di una pronuncia di grande interesse e sicuramente innovativa, fondata sul principio dell’unicità del territorio doganale comunitario, che, secondo la Corte, non può essere messo in alcun modo in discussione per effetto di qualsivoglia frammentazione regionale o federale. La stessa Corte ha successivamente confermato il fondamento di tale orientamento con la sentenza Simitzi del 14 settembre 1995, nella quale si dibatteva su di una fattispecie analoga, vertente sulla legittimità dei dazi imposti dalle autorità fiscali del Dodecaneso sulle merci provenienti da altre regioni della Grecia.
In buona sostanza, dopo tali pronunce il dazio in questione era stato riconosciuto illegittimo allorché riscosso su merci provenienti da Stati membri dell’Unione, da paesi terzi legati all’Unione da accordi commerciali che vietano i dazi doganali e persino da altre regioni della Francia. Restava ancora da stabilire, tuttavia, se il dazio di mare fosse compatibile con il Trattato CE allorché riscosso con riferimento a merci provenienti da paesi terzi non legati all’Unione da alcun accordo commerciale. Questo è stato, appunto, il quesito risolto dalla presente sentenza a seguito del rinvio ex art. 177 CE operato dal Tribunale di Parigi.
La Corte ha ricordato che con l’instaurazione della Tariffa Doganale Comune (TDC), il 1° gennaio 1968, gli Stati membri si sono impegnati ad eliminare ogni disparità nazionale, fiscale e commerciale, con riguardo agli scambi con i paesi terzi, delegando all’Unione ogni competenza in materia. Ne deriva che essi non possono istituire nuovi dazi da aggiungere a quelli già dovuti in forza della normativa comunitaria (in questo senso, si veda, da ultimo, la sentenza Aprile del 5 ottobre 1995). Il divieto in parola non riguarda solo i dazi doganali propriamente detti, ma anche le tasse d’effetto equivalente, tra le quali deve ricomprendersi, appunto, il dazio di mare oggetto della presente sentenza.
Il discorso, tuttavia, è parzialmente diverso per i dazi già esistenti prima dell’entrata in vigore della TDC. Con riferimento ad essi, infatti, la Corte ha sempre ritenuto, fin dagli anni ‘70 (sentenza Diamantarbeiders del 13 dicembre 1973), che la relativa soppressione o riduzione costituisse compito della Comunità, cui spettava la funzione di uniformare gli scambi con i paesi terzi. Gli Stati membri, pertanto, possono tuttora mantenere in vigore tali dazi fino a quando le istituzioni comunitarie non dispongano altrimenti. Essi, tuttavia, non hanno la facoltà di modificare gli elementi essenziali di tali tasse, in particolare per quanto riguarda i presupposti dell’imposta, la base imponibile, i soggetti passivi e l’aliquota. In caso contrario, il dazio sarebbe da ritenersi non più come tassa “esistente”, ma “nuova”, come tale vietata dopo l’instaurazione del TDC.
Nel caso di specie, la Corte ha invitato il giudice del rinvio a valutare se il dazio di mare riscosso nei D.O.M. costituisca, per quanto riguarda i rapporti economici in essere tra tali territori francesi e i paesi non legati alla Comunità da accordi commerciali, un dazio “nuovo” od “esistente” secondo i criteri sopra esposti, tenendo conto, in particolare, delle modifiche apportate con la Legge del 1984 alla disciplina in vigore prima del 1° gennaio 1968. Trattasi, infatti, di un giudizio sulla portata della normativa nazionale che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, spetta unicamente al giudice nazionale, dovendo la Corte limitarsi ad interpretare le norme comunitarie applicabili (in questo senso, vedi da ultimo la sentenza Gebhard del 30 novembre 1995).
Infine, per quanto riguarda il rimborso dei dazi doganali riscossi in violazione delle norma sopra citate, la Corte, confermando un orientamento ben consolidato mirante alla salvaguardia della certezza del diritto ed alla necessità di non rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede (in questo senso, si vedano, tra le altre, le sentenze Blaizot del 2 febbraio 1988 e Bosman del 15 dicembre 1995), ha limitato gli effetti temporali della propria pronuncia. I rimborsi, pertanto, potranno essere effettuati solamente a favore di coloro che ne abbiano fatto richiesta prima del 16 luglio 1992, data di emanazione della sentenza Lancry, con la quale, appunto, è stata accertata l’illegittimità del dazio di mare.
La sentenza in commento è di sicuro interesse perché conferma il principio secondo cui gli Stati membri non possono in alcun modo pregiudicare la libera circolazione delle merci all’interno del mercato comunitario per mezzo di misure fiscali consistenti nell’imposizione di dazi doganali e tasse d’effetto equivalente. A tale effetto, è indifferente che gli Stati membri applichino il medesimo dazio anche sulle merci circolanti all’interno del territorio statale. Trattasi, infatti, non di un’esimente, bensì di una circostanza già di per sé vietata dall’art. 12 CE.
Il divieto si applica anche nei rapporti commerciali con i paesi terzi, le cui condizioni di associazione all’Unione, disciplinate in appositi trattati, generalmente riproducono il divieto di cui all’art. 12 del Trattato CE. Solo con riferimento ai paesi terzi che non abbiano concluso tali trattati con l’Unione gli Stati membri conservano una limitata autonomia doganale, consistente, tuttavia, nella semplice facoltà di mantenere in vigore dazi doganali fino alla data della loro soppressione ad opera delle autorità comunitarie.
Avv. Innocenzo Maria Genna
Dott. Comm. Geronimo Cardia
Ughi e Nunziante, Roma
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