06 Dic STRINGIAMOCI A CORTE (GIOCONEWS DICEMBRE 2015)
La Corte Costituzionale ora dirà se i distanziometri del territorio sono compatibili col Decreto Balduzzi.
E’ assodato ormai che le limitazioni territoriali alla distribuzione del gioco legale – siano esse in termini di riduzioni incontrollate di orari siano esse in termini di applicazioni di distanziometri – costituiscano, per come strutturate (senza proporzione e con effetti interdittivi totali), una minaccia illegittima all’intero settore, minaccia che anche l’ordinamento giuridico ed i suoi massimi interpreti dimostrano di cominciare a riconoscere.
La consapevolezza dell’ordinamento giuridico e la volontà di questo di rimuovere, arginare o comunque reindirizzare la deriva proibizionistica, populista e non tecnica delle politiche territoriali le si rinviene nelle norme nazionali che si occupano di tutela dei minori di contingentamento, nel cosiddetto Decreto Balduzzi, nell’approvanda riforma del titolo V della Costituzione ma anche nelle attività parlamentari / di governo poi confluite nel noto disegno di legge di riforma dei giochi. Oggi prendiamo in considerazione il fatto che il Tar Puglia abbia rimesso alla Corte Costituzionale la Legge Regione Puglia numero 43/2013, limitativa del gioco legale, per le rilevate non manifestamente infondate questioni di illegittimità costituzionale, per incompatibilità della norma locale col richiamato Decreto Balduzzi.
In particolare, il Tar Puglia con ordinanza 22/7/2015 ha considerato “Pregiudiziale, rilevante e non manifestamente infondata (…) la questione di costituzionalità dell’art.7 della L.R. 43/2013, atteso che l’applicazione della stessa impedisce alle ricorrenti di ottenere il bene della vita richiesto, ossia il trasferimento dell’attività di raccolta di scommesse lecite ai locali di via Olimpiadi, in quanto posti alla distanza di 500 metri da un istituto scolastico.”
E ciò fondamentalmente in quanto la norma pugliese “si ponga in contrasto con (…) [il cosiddetto Decreto Balduzzi, in quanto] mentre la disposizione regionale in esame prevede una immediata entrata in vigore del divieto in esame, la norma statale ne differisce l’effettiva entrata in vigore per le nuove concessioni alle pianificazioni da attuarsi in conformità delle medesime disposizioni, in assenza delle quali, non vi sarebbero impedimenti alla collocazione di esercizi in prossimità dei luoghi sensibili.” Ed in effetti le norme regionali recanti incontrollati e smisurati distanziometri, disattendono palesemente ratio e contenuti del Decreto Balduzzi. Le ragioni sono numerose e tutte sufficienti a giungere a detta conclusione.
In primo luogo, il legislatore nazionale che ha messo mano al Decreto Balduzzi è orientato a perseguire l’obiettivo che sia operata una regolamentazione delle “distanze” che sia: (i) meditata per l’intero territorio nazionale – dunque non su una porzione comunale, provinciale o regionale – ; (ii) concepita a livello centrale attraverso articolazioni del Governo – dunque non a livello locale -. La ratio della disposizione va ricercata nell’esigenza di rendere omogenea ed efficace l’azione regolatoria su tutto il territorio dello Stato evitando di coniare aree disomogenee.
In secondo luogo, il legislatore nazionale che ha messo mano al Decreto Balduzzi prevede espressamente che la partecipazione degli enti locali e territoriali a tale processo di regolamentazione delle “distanze” avvenga attraverso il meccanismo della Conferenza unificata, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Dunque, non attraverso l’attribuzione di competenze legislative/regolatorie autonome ed indipendenti. La ratio della disposizione va ricercata, in questo caso, nel fatto che le pure rilevanti esigenze del “territorio”, che solo sindaci e governatori locali possono interpretare al meglio, vanno si tenute in considerazione ma a livello di consultazione, per le sempre emerse esigenze di unitarietà di trattamento.
In terzo luogo, il legislatore nazionale che ha messo mano al Decreto Bladuzzi è espressamente orientato a prevedere le regolamentazioni di “distanze” solo con riferimento alle concessioni di giochi ancora da bandire alla data di entrata in vigore del Decreto medesimo. Dunque, non anche alle concessioni già bandite, non anche alle realtà già esistenti. La ratio ha origini plurime: (a) le realtà esistenti assicurano una copertura del territorio con offerta di gioco legale che consente di mantenere alta la guardia alla lotta alla criminalità organizzata; (b) le realtà esistenti sono già state selezionate e contrattualizzate dallo Stato per assicurare la distribuzione del gioco legale, prevedendo specifiche regole di ingaggio, prelievi erariali più o meno anticipati: cambiare le regole del gioco in corsa potrebbe determinare più problemi di quanti se ne possano risolvere. Colpire un intero comparto – quello dell’industria del gioco legale – nel pieno delle attività per il recupero degli investimenti fatti potrebbe creare ripercussioni non solo a livello industriale ma anche occupazionale e sociale.
In quarto luogo, La volontà del legislatore nazionale è quella di “regolamentare”. Dunque, non di “vietare” la distribuzione del gioco legale sull’intero territorio. Questo, che potrà anche apparire banale, rappresenta, in realtà, un aspetto macroscopico di cui si dirà nel paragrafo che segue. Accade, infatti, che, applicando alla lettera i provvedimenti antislot di Comuni e Regioni, non sia di fatto possibile distribuire gioco su nessuna parte del territorio comunale interessato. E ciò perché o sono troppi i luoghi sensibili indicati o sono troppo ampi i raggi di interdizione di 500 o 300 metri imposti: in sostanza i regolamenti antislot dicono di regolamentare ma in realtà vietano.
Inoltre, il Tar Puglia precisa che “Appare (…) evidente che la norma statale (…) abbia inteso prevedere misure di prevenzione della ludopatia proprio al fine di tutelare il diritto della salute, diritto che, in base all’ art. 117, comma 3 Cost., trova la sua disciplina fondamentale nella legislazione nazionale, spettando alle regioni di concorrere al completamento delle regole nel rispetto dei principi fondamentali posti dalla legislazione statale. Nella specie, l’art.7 l.R.43/2013 [i.e. il Distanziometro imposto dalla Legge Regionale Puglia], nel disporre l’immediata entrata in vigore delle norme in materia di distanza dai luoghi sensibili, contraddice l’art.7 c.10 D.L.158/2012, che invece demanda l’applicazione della nuova disciplina alla pianificazione ivi prevista (pianificazione che vede il coinvolgimento di diversi soggetti e che invece la L.R. pretermette del tutto) così violando “un principio fondamentale stabilito dallo Stato per la tutela della salute”. (…) Se la materia della “tutela della salute” è soggetta alla competenza legislativa concorrente delle Regioni, sicché queste possono provvedere a dettare regole di settore in coerenza con la disciplina statale e con i relativi principi fondamentali, è riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, restando ferma la possibilità per le Regioni di stabilire livelli di tutela più elevati per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze (cfr. in tal senso T.A.R. Lombardia 4.4.2012 n. 1006; T.A.R. Puglia 7.12.2012 n. 2100; Corte Cost. 5 marzo 2009, n. 61; Corte Cost. 14 marzo 2008, n. 62).” Nella stessa ordinanza si legge poi che “sotto un profilo sostanziale mentre la norma statale prescrive che la progressiva ricollocazione riguardi solo gli apparecchi (…) l’art.7 della L.R.43/2013 prevede che le restrizioni ivi indicate riguardino tutti gli “apparecchi da gioco di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, emanato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, nonché ogni altra tipologia di offerta di gioco con vincita in denaro soggetti al regime autorizzatorio previsto dalle norme vigenti”;”.
Alle questioni sopra citate necessariamente va aggiunto il profilo secondo cui i distanziometri imposti tra l’altro impongono raggi di interdizione talmente estesi e luoghi (discutibilmente) sensibili talmente numerosi che l’effetto applicativo comporta un proibizionismo radicale sul territorio diverso dall’obiettivo di regolamentazione pure presupposto dalla norma.
Ora il tema sarà affrontato dalla Corte Costituzionale, ed il verdetto giungerà sempre che nelle more non si pervenga ad un intervento legislativo organico che assicuri al sistema un regime di funzionamento serio, oltre che finalmente legittimo.